A 150 giorni dall’Expo, Milano appare come la festeggiata un po’ tesa che ha invitato al suo compleanno amici e conoscenti, ma non sa alla fine in quanti verranno per farle gli auguri. I visitatori attesi sono una ventina di milioni, ma le previsioni placano solo in parte le ansie da prestazione degli organizzatori, dei tour operator, degli albergatori e dei ristoratori tutti. Una delle loro più grandi preoccupazioni? I cinesi.

Considerazione di partenza: i turisti cinesi sono i più complicati di tutti. Esigono guide turistiche che parlano mandarino, che in Italia si contano sulle dita di una mano. Rispondono male o si zittiscono se tirate fuori argomenti non graditi, soprattutto di politica. Poi diffidano (ecco, qui potremmo avere serie difficoltà) degli occidentali che parlano male del proprio Paese, perché i cinesi amano la nostra arte e il nostro stile di vita.

Non a caso di solito aprono borsette e portafogli con grande soddisfazione, in particolare mentre passeggiano lungo le vie milanesi della moda. Si calcola che in media durante il loro soggiorno nel Belpaese spendano mille euro in shopping, attività che viene testimoniata con una densa e costante messa in rete di selfie e tweet.

Quando si parla di utilizzo delle tecnologie (e non solo) i cinesi sono più avanti di noi e soprattutto, grosso problema in vista dell’Expo, utilizzano applicazioni e motori di ricerca a noi sconosciuti. Non è un caso che in queste settimane da Varese a Milano passando per Bergamo negli uffici del turismo lombardi sia tutto un susseguirsi frenetico di corsi di aggiornamento per capire, prima che sia troppo tardi, cosa succederà sugli smartphone dei turisti cinesi quando dal maggio prossimo si imbarcheranno con i loro datori di lavoro diretti a Orio e Milano.

“Se un cinese digita Bergamo sul web – è stato spiegato in un seminario di preparazione della città all’Expo, così come riportato dalla stampa locale – non troverà mai riferimenti alla città perché utilizza piattaforme totalmente diverse dalle nostre. Bisogna allora rendere visibile il sito internet di un albergo, un ristorante o di un locale anche sui loro motori di ricerca come Baidu, Yandex e Naver adeguandolo ovviamente con un’ottima traduzione in lingua”. Facile a dirsi, meno facile a capirsi per le centinaia di alberghi dell’hinterland lombardo che hanno, quando va bene, solo un sito internet in italiano indicizzato a fatica da Google.

Guai a pensare che si tratti di cose da addetti ai lavori. Un’app in più su un monumento, un risultato in più o in meno su un motore di ricerca o su Facebook possono trasformare un anno memorabile in uno mediocre. Sarà una bella sfida, soprattutto per i piccoli alberghi della provincia lombarda, che per succhiare un po’ di nettare dall’alveare dell’Expo dovranno evitare ai turisti inconvenienti come wi-fi che si dissolvono nell’aria prima di raggiungere le camere e affrontare l’assalto famelico dei privati che stanno già intasando di annunci di affitti brevi Airbnb e company.

Per l’Expo di Milano è previsto oltre 1 milione di arrivi dall’Asia. Mai prima d’ora da Pechino, che ha investito in tutto 60 milioni di euro, avevano partecipato a un’Esposizione universale con un padiglione self built: un mastodonte che coprirà un’area di 4.590 metri quadri, secondo solo a quello italiano.

La Cina, quindi, ci crede eccome. I cinesi amano l’Italia, la sua cultura, il suo territorio. Per questo la parola d’ordine che dovrebbe risuonare da Vaprio d’Adda a Shangai, in tutti gli uffici del turismo e in tutti i consolati italiani in Cina dovrebbe essere: no burocrazia. Non questa volta. L’occasione è troppo grande, troppo ghiotta, per lasciarsela sfuggire. Per questo non può che far rabbrividire la questione visti.

Fino a un anno fa ci voleva in media un mese per ottenere un visto per viaggiare dalla Cina in Italia, decisamente troppo. Non è un caso che a giugno durante la sua visita in terra d’Oriente il premier Matteo Renzi abbia promesso, tra un accordo commerciale e l’altro, rilasci di visti rapidissimi, in 36 ore. A meno di cinque mesi dall’Expo, il problema potrebbe essere però un altro. E arrivare direttamente dall’Unione europea.

Dal maggio prossimo, superba ironia della sorte, scatteranno le nuove regole per il rilascio dei visti ai turisti che si mettono in viaggio verso i Paesi comunitari. Regole che prevedono, tra l’altro, anche la raccolta dei dati biometrici. In tutta la Cina ci sono però solo cinque consolati italiani in grado di raccogliere le impronte digitali. Ciò significa che le centinaia di migliaia di cinesi che hanno intenzione di venire a Expo ma che non vivono a Pechino o a Shangai potrebbero doversi sorbire un volo preliminare solo per andare a depositare le impronte digitali nelle sedi dei consolati, tra l’altro già intasate di richieste di visti.

Le alternative sono due: o si aumentano i centri visti o si negozia con l’Europa per chiedere lo spostamento dell’entrata in vigore di queste norme. Il rischio, nelle peggiori delle ipotesi, è che i turisti cinesi si scoraggino e non partano. Oppure che decidano di prendere un visto francese o tedesco, fare scalo a Parigi e Berlino e poi da lì di venire in Italia. Sempre che non scelgano di restare all’ombra della Torre Eiffel o della Porta di Brandeburgo.

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