Il primo dicembre sembra ormai essere diventato una ricorrenza, ma non c’è alcuna vittoria da celebrare. Anzi se rimaniamo nell’immaginario bellico siamo nel bel mezzo di una sconfitta. Una pesante sconfitta che rischia di trasformarsi in una debacle. Secondo i dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità in Italia vivono oltre 100.000 persone sieropositive, probabilmente circa 120.000; ogni anno se ne infettano circa 4.000, 11 al giorno. 95.000 persone sono seguite dalle strutture sanitarie e di queste circa 60.000 sono in terapia con antiretrovirali, con una spesa che oscilla, tra farmaci e diagnostica, dai 7.000 ai 12.000 euro/persona/anno. Una spesa in continuo aumento con il rischio che presto qualche regione dichiarerà di non poter più fornire gratuitamente le cure. E allora, come già avviene in tanti Paesi asiatici ed africani a curarsi potranno essere solo i più ricchi.

Ma tutto ciò era ampiamente evitabile. Da molti anni non vi è una campagna d’informazione, nelle scuole non vi sono momenti di formazione, le Asl hanno sospeso quasi tutti i progetti di prevenzione. Le istituzioni, il ministero della Sanità, gli assessori regionali e comunali continuano ad ignorare totalmente il tema Aids, tranne magari ricordarsene giusto il 1° dicembre – la giornata mondiale contro l’Aids – per fare qualche dichiarazione di rito, organizzare un concerto o al massimo un punto di distribuzione di profilattici che apre la mattina e chiude la sera stessa.

La terapia costa da 7 ai 12mila euro l’anno a persona. E qualche Regione potrebbe non dare più le cure gratuite

In Italia circa la metà delle persone che ricevono la diagnosi di Aids (la fase avanzata dell’infezione) non ha mai saputo di essere sieropositiva; ha quindi convissuto, senza saperlo, per diversi anni con il virus Hiv con tutte le conseguenze che questa condizione ha comportato e con tutti i rischi facilmente immaginabili per i partner. Sarebbe stato sufficiente sviluppare un’ampia e continua campagna informativa per favorire l’accesso al test che andrebbe reso realmente gratuito e anonimo, come prevede la legge che troppo spesso non viene rispettata.

Negli ultimi mesi sono invece aumentati i casi di aziende che hanno chiesto il test a qualche lavoratore, prassi illegale, ma alla quale, in tempi di grave crisi occupazionale, il dipendente rischia di sottomettersi, salvo poi essere licenziato in caso di documentata sieropositività. Non sono storie di un’altra epoca, ma episodi della nostra realtà odierna.

Non c’è dubbio che i vertici della sanità pubblica – a iniziare dai ministri che si sono susseguiti negli ultimi dieci anni – siano oggettivamente corresponsabili della diffusione del virus in Italia. E non dimentichiamo che la tutela della salute nelle città è affidata ai sindaci. L’ indifferenza di tutte queste autorità pubbliche, che sia dovuta a ignoranza o a contiguità con le grandi aziende farmaceutiche, non ha alcuna giustificazione. Costoro sono e continuano a essere oggettivamente i migliori alleati del virus Hiv.

Non è un mistero che una delle ragioni del silenzio delle nostre autorità sia stata in tutti questi anni la subalternità alla posizione ufficiale della Chiesa cattolica e in particolare della Conferenza Episcopale Italiana che non ha mai smesso di opporsi all’uso e alla distribuzione dei profilattici. Ma i preservativi dovrebbero essere considerati presidi sanitari e per tale ragione il loro prezzo dovrebbe essere calmierato e dovrebbero essere resi disponibili gratuitamente sopratutto per i giovani come avviene in altri Paesi europei. Invece quelle poche scuole che hanno deciso di collocare nell’istituto un distributore di profilattici sono state travolte dalle polemiche e hanno dovuto, quasi tutte, fare marcia indietro.

Gli unici a festeggiare sono le grandi aziende farmaceutiche che vedono costantemente aumentare il numero dei loro “affezionati clienti” che dovranno acquistare ogni anno da loro le terapie, per tutta la vita. Tanto più che non c’è all’orizzonte alcun vaccino, come dimostra anche la triste conclusione (dal sottoscritto da tempo prevista) del cosiddetto vaccino italiano.

*Vittorio Agnoletto, medico, è professore all’Università degli Studi di Milano ed è stato membro della Commissione Nazionale Aids

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