Il presidente della provincia di Milano Guido Podestà è stato condannato a 2 anni e 9 mesi dal tribunale di Milano nel processo per le firme ritenute false a sostegno del listino di Roberto Formigoni e della lista del Pdl nelle regionali lombarde del 2010.

“La vita di tutti è fatta di passaggi, questo è un passaggio per me e per chi con me è stato condannato. La cosa più amara è pensare ai miei figli, all’insegnamento di credere nella giustizia. Questo episodio non conforta questa tesi – dice Podestà – la certezza del diritto non è garantita” e questa storia dimostra la “superficialità assoluta nella ricerca della verità”. Il giudice ha anche condannato quattro consiglieri provinciali Massimo Turci e Barbara Calzavara, entrambi a due anni e sei mesi, Nicolò Mardegan a un anno e un mese e Marco Martino a 9 mesi. Per questi ultimi la pubblica accusa aveva chiesto pene comprese tra i 4 anni e 8 mesi di carcere e i 4 anni. Per la Provincia di Milano, costituitasi parte civile nel processo, il giudice ha stabilito 100 mila euro come risarcimento e il pagamento da parte degli imputati delle spese legali di 12 mila euro. La Provincia aveva chiesto un risarcimento a titolo di provvisionale di un milione di euro a carico di tutti gli imputati.

Per il pasticcio delle firme false la Procura di Milano aveva chiesto cinque anni e otto mesi per falso ideologico. Cuore del processo la ipotizzata falsità di 926 firme poste a sostegno della lista dell’ex governatore della Lombardia e di quella del Popolo della Libertà e nata da un esposto e da una vera e propria ‘battaglia’ nelle aule dei Tribunali, anche amministrativi e civili, da parte dei Radicali. L’aggiunto Robledo nella sua requisitoria aveva parlato di “ferita grave per la democrazia“, spiegando che “ai cittadini è stata sottratta di nascosto la libertà di scelta della loro rappresentanza”

Podestà ha sempre ribadito la sua totale estraneità alle accuse, ma a tirarlo in ballo, con interrogatori in fase di indagini e in aula (davanti al giudice monocratico Monica Amicone della quarta sezione penale), era stata quella che era all’epoca la responsabile della raccolta firme del Pdl, Clotilde Strada che ha patteggiato la pena.

“Il giorno precedente la scadenza del termine (per la presentazione delle liste, ndr), cioè il 26 febbraio (2010, ndr) – aveva messo a verbale Strada – presso la sede del Pdl c’era una grande confusione (…) Nonostante tutti gli sforzi non si era raggiunto il numero minimo di firme necessarie (…) Non sapendo cosa fare chiamai Podestà, essendo lui il responsabile politico (…) Venne in sede dopo due ore circa”. In quell’occasione, stando alla versione della Strada, “gli ribadii che ormai avevamo raschiato il fondo del barile delle nostre possibilità, e che certamente non eravamo in grado di raccogliere le firme necessarie. Podestà mi guardò e mi disse: ‘Avete i certificati elettorali, usateli‘”. I Radicali avevano depositato in Procura anche una serie di articoli stampa: sui giornali, infatti, si raccontava che la ‘chiusura’ dei nomi dei candidati nel ‘listin0′ di Formigoni era arrivata in extremis, perché, dopo una riunione ad Arcore, si sarebbe deciso di far entrare, tra gli altri, Nicole Minetti.

Il processo prima dell’estate era stato sospeso per un’istanza di legittimo sospetto presentata dalla difesa di Podestà e nella quale si faceva riferimento al fatto che il procedimento era uno di quelli al centro dello scontro tra Bruti e Robledo. Il caso firme false è infatti uno dei fascicoli al centro dello scontro tra il procuratore capo e l’aggiunto.

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