Per il Movimento 5 Stelle va tutto bene. Beppe Grillo dice che l’astensionismo non li ha colpiti e che “il M5S ha vinto”. Su quali basi? Sulle Regionali del 2010. E in effetti è vero, rispetto a quel dato i 5 Stelle hanno aumentato elettori in Emilia Romagna: da 126.619 a 159.456. Il Pd, in questi quattro anni e mezzo, ha smarrito più di 322mila voti e persino la Lega 55mila. Lo stesso Renzi, in neanche sei mesi, ha perso quasi 700mila elettori nella sola Emilia Romagna. Un record o giù di lì. Da qui a dire che il Movimento 5 Stelle ha vinto, però, ce ne passa. È vero che i 5 Stelle sono cresciuti rispetto al 2010, ma è anche vero che nel frattempo è successo di tutto e il raffronto tra il 13,26% di due giorni fa e il dato emiliano alle Politiche 2013 (24,6%) e alle Europee 2014 (19%) è abbastanza impietoso. Per non parlare del flop in Calabria (neanche il 5%).

L’unico alibi vero del M5S è che, da sempre, la loro forza ha avuto numeri molto più bassi alle Amministrative e Regionali. E la tornata elettorale di domenica non fa eccezione. Qualche domanda, però, i 5 Stelle dovrebbero porsela. L’Emilia, teatro dei loro primi successi, stavolta non gli ha sorriso. Senz’altro ha influito la resa disastrosa di alcuni ex protetti di Grillo e Casaleggio: è comprensibile che, per paura di dare visibilità a qualche nuovo Favia, in molti siano stati a casa. O abbiano guardato altrove, per esempio alla Lega Nord.

Grillo 675

E proprio il caso di Salvini è emblematico: come ha fatto il leader della Lega Nord a superare addirittura il 19%? Giocando alla Grillo. Non nei contenuti, ma nei modi. Provocando. Costringendo i mass media a parlare di lui. Convogliando il dissenso, la protesta, la rabbia. Alcuni 5 Stelle, ora, quasi ringraziano Salvini per avere “ripulito” il loro elettorato dai sostenitori più intolleranti: un ragionamento bizzarro e snobistico, che dimentica come le elezioni si vincano convincendo tutti. Non solo “i più buoni” (ammesso poi che lo siano). Salvini ha poi occupato sistematicamente la tivù. Era ovunque. I 5 Stelle, al contrario, si sono concessi pigramente giusto a qualche tigì. Per il resto, nisba. Una scelta voluta da Grillo, e più che altro Casaleggio, dopo la sconfitta alle Europee.

I duropuristi, ovvero gli stessi (parlamentari inclusi) che a maggio erano strasicuri di oltrepassare il 30% e bastonare Renzi, continuano a credere che sia la strada giusta e ricordano che anche Gasparri è sempre in tivù, eppure Forza Italia è quasi scomparsa. Certo: infatti la tivù non è utile a prescindere, ma solo se la si sa usare. Salvini sa farlo, Gasparri no. Di Maio saprebbe farlo, ma in tivù non ci va quasi più. E il risultato è che molti elettori si sono allontanati perché hanno avuto la sensazione che il movimento sia divenuto elitario e non rispettoso di chi li ha votati, visto che non li informa (se non in Rete) del loro operato. Che senso ha rinunciare al mezzo più usato dagli elettori over 50, ben sapendo che è proprio tra gli over 50 che i 5 Stelle non attecchiscono? Masochismo puro. Salvini ha potuto spadroneggiare in tivù, perché al di là di quale intellettuale abile a metterlo in difficoltà (tipo Pennacchi), dall’altra parte aveva le Moretti. E dunque vinceva facile. Se a ogni sua comparsata avesse avuto contro un Di Battista, forse l’epilogo sarebbe stato diverso.   

Proprio Di Battista, ieri, ha parzialmente riaperto alla tivù: “Poi, magari, qualche incursione televisiva selezionata. È utile, sono d’accordo. Ma occhio a vedere la tv come soluzione! La Tv ci omologa a un sistema che gli italiani detestano!”. Casaleggio può negarlo quanto vuole, ma a molti italiani – dalle Europee in poi – è parso che i 5 Stelle si siano isolati da soli, abbracciando una clandestinità narcisistica e autoreferenziale che ha finito col favorire ulteriormente Renzi e sminuire le molte battaglie che il movimento continua a portare avanti. C’è poi un’ulteriore sensazione: quella di un Grillo un po’ stanco della sua creatura politica. Forse rientra nella sua umoralità congenita. Di sicuro continuare a ripetere che “va tutto bene, siamo bravissimi”, non pare esattamente la strategia più indicata. O meglio, come strategia è perfetta: per Renzi, però.

 

Il Fatto Quotidiano, 25 novembre 2014

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