Ci sarà un perché se lo stereotipo che vuole le donne sedotte dal ‘fascino della divisa’ resiste: ancora di recente ho sentito conversazioni e letto articoli nei quali si ribadiva che le femmine amano i maschi che vestono panni evocanti il simbolico virile della forza, della potenza, dell’ordine, della disciplina e della sicurezza, un simbolico che sembra una divisa possa richiamare al meglio, se vestita da un uomo. Si potrebbe trattare di un argomento lieve e un po’ stupidino, ma purtroppo non è solo un discorso leggero e modaiolo quello che si dipana se si affronta l’argomento ‘divisa’, e se si scende nel dettaglio entrando nel mondo di chi sceglie la vita e la carriera militare, e veste per l’appunto una divisa. Persino una serie tv di stampo rassicurante, come Army wives-conflitti del cuore si è spinta ad affrontare la pesante realtà della violenza sommersa che alberga nelle enclaves popolate dai militari e dalle loro famiglie. Ispirata dal libro di Tanya Biank Sotto la spada: il codice non scritto del matrimonio militare, l’autrice (pure un’entusiasta embedded delle forze armate Usa) non ha lesinato di parlare del clima che si respira nelle caserme, ora che anche le donne sono ammesse nell’esercito. Un mondo dove l’aver preso parte a missioni di guerra rischia di diventare una palestra di disumanizzazione, ben descritta nel 2007 dal regista Paul Haggis nel suo Nella valle di Elah.

Ma oltre il cinema e la tv c’è la realtà a incalzare la necessità di ragionare sulla connessione tra violenza e ambienti militari: nel nostro Paese, oltre a quelle italiane, ci sono basi Usa sparse sul territorio, mondi paralleli dei quali poco si sa e che talvolta emergono per fatti violenti. Di recente è successo a Vicenza, dove due giovani paracadutisti (uno dei quali già resosi protagonista di violenza su una minorenne) hanno violentato una prostituta incinta.

Non è certo facile, per una città come Vicenza, affrontare in modo sereno il nodo intrecciato della violenza di genere e della presenza incombente di ben due basi militari in costante espansione, ma una parte della città ne vuole discutere. Si tratta del gruppo femminile plurale, che propone un momento di dibattito il 27 novembre in città, da titolo La zona grigia: soldati e violenza.

La lettera aperta mandata alla stampa locale spiega in modo chiaro quale sia l’intento del dibattito: “L’ultimo caso di stupro perpetrato da parà statunitensi ai danni di una donna incinta ha provocato indignazione in molte donne e uomini di Vicenza: si tratta dell’ennesimo episodio di una violenza che costituisce la forma più brutale e purtroppo diffusa della riduzione a oggetto delle donne, e ne sono responsabili militari appartenenti a un esercito che si autodefinisce difensore della democrazia nel mondo. Sono state messe in evidenza le condizioni traumatiche a cui sono esposti i parà inviati nelle zone di guerra, ma questo non può costituire una giustificazione, né un’attenuante dei loro comportamenti, semmai fa riflettere sui rischi ai quali vengono esposte le persone con cui convivono o che avvicinano, siano civili o altri militari. Per quanto riguarda la posizione dei civili, poi, sappiamo che l’appartenenza all’esercito statunitense comporta la facoltà che i militari possano essere giudicati in patria per i reati commessi ai danni del Paese che li ospita, quindi la popolazione italiana risulta giuridicamente meno tutelata in caso di controversie, come dimostra una lunga serie di episodi, di cui la strage del Cernis è la più nota.

Coloro che a Washington hanno cominciato a sollevare il problema, per esempio la senatrice Kirster Gillibrand, hanno dichiarato che “ideale sarebbe istituire veri e propri uffici penali per sottrarre la gestione dei casi alla catena dei comandi militari”. È probabile che la situazione denunciata dalla senatrice non sia molto diversa da quella in cui versano i reparti di militari americani di stanza in Italia e nel mondo; tant’è che a Vicenza esiste il gruppo Sharp (sexual harassment /assault response & prevention); ma c’è da interrogarsi sulla sua efficacia, dal momento che uno dei due militari che hanno agito la violenza è ricaduto nello stesso reato nel giro di pochi mesi. Noi donne dell’associazione femminileplurale proponiamo di parlarne. Rivolgiamo la proposta all’amministrazione di Vicenza, al Comando dell’US Army Africa/Setaf, alle donne e agli uomini che, all’interno della base e fuori, vogliono aprire un confronto su questo problema: riteniamo che vada affrontato e che riguardi, da posizioni differenti ma altrettanto importanti, loro e noi”.

Io ci sarò.

Lanfranco-Vicenza

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