La sonda è riuscita a sbarcare sulla cometa, trasmette correttamente dati, comprese le prime spettacolari immagini della superficie del nuovo mondo (visionabili sul sito dell’Esa), ma non ha centrato perfettamente il bersaglio e gli scienziati non conoscono ancora la sua esatta posizione. Si potrebbe riassumere così, alla luce dell’ultimo briefing dei responsabili della missione Rosetta dell’Esa, la prima giornata dell’uomo su una cometa, dopo lo storico sbarco di Philae.

Rispetto a ieri, è più chiaro come siamo scesi sulla cometa – spiega Stephan Ulamec manager di Philae -. Il lander ha rimbalzato due volte: il primo balzo, di 1 chilometro, è durato un’ora e 50 minuti, e il secondo appena 7 minuti, alla velocità di 3 centimetri al secondo. Non sappiamo ancora perché sia successo, come mai gli arpioni non abbiano funzionato – ammette lo studioso -. Ma il risultato è che Philae non si trova dove avrebbe dovuto essere, e al momento non conosciamo ancora la sua esatta posizione. Il fatto stesso che ci siano stati dei rimbalzi – commenta Ulamec – è il segno della presenza, per noi inattesa, di materiale roccioso sulla cometa”.

Gli scienziati dell’Esa stanno cercando il lander Philae grazie alle fotocamere e agli altri strumenti della sonda madre Rosetta

Ma allora dov’è finito il lander Philae? Gli scienziati dell’Esa lo stanno cercando grazie alle fotocamere e agli altri strumenti della sonda madre Rosetta, in orbita attorno alla cometa. Ma è come cercare un ago in un pagliaio. Lo dimostra una delle foto scattate a Philae dalla nave madre e mostrate oggi dall’Esa, in cui il lander appare come un insignificante puntino che si staglia sullo sfondo della cometa. Un puntino che, tra l’altro, è scarsamente illuminato. E la luce è proprio il principale problema cui stanno cercando di far fronte gli scienziati in queste ore. Dopo l’analisi delle prime foto e dei primi dati, i responsabili della missione sospettano, infatti, che Philae sia finito sul bordo di un cratere, all’ombra di un dirupo. “Pensavamo ci fosse polvere, invece qui è tutta roccia – spiega il responsabile di uno degli esperimenti di Philae Jean Pierre Bibring, capelli arruffati e grossi baffi che ricordano il volto di Einstein -. C’è una rupe sopra di noi, la cui ombra è parte del nostro problema”.

La batteria principale del lander ha, infatti, un’autonomia di sole 60 ore e per andare oltre sono necessari i pannelli solari, che però stanno funzionando solo all’1% delle loro potenzialità. “I pannelli non vanno perché sono in ombra, e non perché hanno subito danni – chiarisce Ulamec -. Philae è, infatti, disegnato per resistere ai balzi sulla superficie”. Gli scienziati si sono accorti che i pannelli non sono paralleli al suolo, e stanno adesso predisponendo i comandi per riaggiustarne l’orientamento. Ma c’è anche un’altra possibilità, più complicata e per questo piuttosto remota. Sfruttare la bassissima gravità cometaria – all’incirca un centomillesimo di quella terrestre, tanto che Philae, sebbene grosso come una lavatrice, lassù pesa appena qualche grammo – e impartire al lander un comando per farlo balzar fuori dalla “tana” in cui sembra finito.

La batteria principale del lander ha un’autonomia di sole 60 ore e per andare oltre sono necessari i pannelli solari, che però stanno funzionando solo all’1%

“Potremmo spostarci da questa scomoda posizione. Basterebbe un salto. Ma – chiarisce Ulamec – dubito che ci sia abbastanza tempo per farlo. Dobbiamo, inoltre, essere estremamente cauti nei confronti di ogni movimento meccanico”. “Per questo – gli fa eco Bibring -, stanotte non verrà messo in funzione il sistema di acquisizione e distribuzione dei campioni Sd2 (il trapano di fabbricazione italiana, ndr). La priorità adesso – aggiunge lo studioso – è tentare di riorientare i pannelli solari”.

Ma, anche nell’eventualità di non riuscire nell’impresa, gli scienziati non sembrano disperare sul futuro della missione. “Se la batteria perdesse tutta la sua carica, Philae potrebbe in teoria essere ibernato – spiega il responsabile del lander Ulamec -, per poi tornare a vivere quando le condizioni d’illuminazione cambieranno per l’avvicinamento della cometa al Sole”. I volti degli scienziati durante il briefing sono distesi e sorridenti, malgrado i contrattempi. “Siamo al limite di ciò che l’umanità può fare – sottolinea Bibring -. Non enfatizzerei troppo i problemi. L’aspetto sbalorditivo – conclude lo scienziato – è dove siamo riusciti ad arrivare”.

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