Due lavoratrici a progetto del call center AlmavivA di Palermo hanno vinto la causa intentata contro l’azienda ottenendo, per sentenza del giudice del lavoro, l’assunzione a tempo indeterminato. Francesca Malisano e Antonia Lembo si erano si sono rivolte al Tribunale lo scorso anno, insieme alla Cgil di Palermo, al sindacato dei lavoratori atipici Nidil e a quello degli addetti alla comunicazione Slc. Ora è arrivata la decisione del giudice Paola Marino che non solo le reintegra nel posto (a Lembo, in azienda dal 2008 al dicembre 2012, il contratto non era stato rinnovato “per scarsa produttività”) ma riconosce loro il diritto alla stabilizzazione. Una sentenza “storica”, secondo il sindacato guidato da Susanna Camusso: “Ha confermato la denuncia che la Cgil fa da anni, cioè che i contratti a progetto nella maggior parte dei casi celano rapporti di lavoro subordinato a tutti gli effetti”, hanno commentato i segretari generali della Cgil e della Nidil Cgil di Palermo, Enzo Campo e Laura Di Martino. “Le lavoratrici, come è stato dimostrato, erano stabilmente inserite nell’organizzazione aziendale e sottoposte al potere direttivo del datore di lavoro, che ne controllava le mansioni oltre che la presenza”.

Le due donne fanno parte di un gruppo di 30 lavoratori a progetto che nel giugno 2012 si sono rivolti al sindacato per fare causa all’azienda. Che, mentre in Parlamento si discuteva la legge Fornero (sarebbe stata approvata a fine giugno), aveva chiesto ai collaboratori di firmare una risoluzione consensuale e anticipata del loro contratto di tre mesi che sarebbero stato sostituito con una della durata di sette, in modo da posticipare l’applicazione della nuova normativa a quelli in scadenza.

I 30 lavoratori hanno poi portato avanti la vertenza, sfociata martedì 11 novembre nella prima sentenza. Secondo Pietro Vizzini, legale della Cgil, la decisione del giudice dimostra “che non ha nessun margine di autonomia un lavoratore a progetto che accede a un computer, è costretto a chiamare utenti ai numeri forniti dall’azienda e deve attenersi alle disposizioni del committente”. Di fatto, quindi, “l’utilizzo dei Lap (lavoratori a progetto, ndr), la cui prestazione lavorativa secondo la legge Biagi deve essere legata a un progetto preciso, è fatto contra legem. Il giudice ha condannato la società a riammettere sul posto di lavoro le lavoratrici con il pagamento di 12 mensilità, il massimo della pena pecuniaria consentita, un indizio di colpevolezza dell’azienda già di per sé molto pesante”.

Dal canto suo AlmavivA Contact “nel doveroso rispetto delle sentenze della magistratura”, ha precisato di “aver sempre operato secondo le norme, anche applicando l’accordo del 1° agosto 2013 disciplinante il lavoro a progetto nell’ambito dei call center, accordo sottoscritto dalla stessa SLC CGIL”. La società sottolinea quindi che “attraverso recenti pronunciamenti su analoghi e numerosi casi, lo stesso Tribunale del Lavoro di Palermo ha ripetutamente stabilito un esito favorevole all’Azienda, riconoscendone le ragioni e la correttezza dei comportamenti, e sancito significativi precedenti in materia”. Quindi, osserva ancora Almaviva, “il tentativo di utilizzare controversie in tema di lavoro, al di là di presunti torti e ragioni, per esasperare improvvidi conflitti e fabbricare nemici di giornata, somiglia più ad un’irresponsabile speculazione sulla dignità dei lavoratori piuttosto che alla genuina difesa dei loro diritti”.

In particolare AlmavivA “giudica totalmente irricevibili toni e contenuti della dichiarazione del Segretario Provinciale della SLC CGIL Maurizio Rosso, basata sul falso assunto che la Società abbia deciso di investire in Sicilia in virtù di particolari sovvenzioni regionali. Al contrario, AlmavivA Contact ha portato in questo territorio attività e commesse, investendo negli anni milioni di euro e consolidando buona e stabile occupazione”. Quindi, sempre secondo la società, “la diffusione di notizie irreali in un momento di così grande sofferenza del settore, non aiuta di certo a far comprendere l’entità della crisi in cui versano gli operatori di Customer Care in outsourcing. Sarebbe auspicabile che chi fa sindacato, piuttosto che di casi individuali e contradditori, si rivolgesse alle vere emergenze sociali che attraversano il settore – in particolare sul territorio palermitano -, che derivano innanzitutto dai fenomeni di delocalizzazione selvaggia e dall’insostenibile corsa al ribasso delle tariffe“.

I lavoratori del call center Almaviva di Palermo sono da tempo mobilitati contro il progetto della società guidata da Marco Tripi, che lavora per grandi aziende della telefonia e gruppi pubblici, di spostare all’estero parte delle attività. Al ministero dello Sviluppo è aperto un tavolo sulla vertenza e sul piatto ci sono 2.500 esuberi, in questo momento gestiti con il ricorso a contratti di solidarietà.

Riceviamo e pubblichiamo la seguente precisazione da parte di Almaviva:
L’affermazione secondo la quale “I lavoratori del call center Almaviva di Palermo sono da tempo mobilitati contro il progetto della società di spostare all’estero parte dell’attività” è destituita di qualunque fondamento. Non c’è mai stata una mobilitazione perché un progetto di spostare all’estero attività italiane non è mai esistito. Almaviva prevede nel proprio Statuto, caso unico in Italia, il divieto di delocalizzare attività italiane a garanzia dei propri dipendenti e della qualità del servizio. E si batte da tempo perché venga fermato il fenomeno della delocalizzazione selvaggia chiedendo con forza il rispetto della normativa esistente finora inattuata.

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