Dal 29 ottobre la Procura di Brescia è blindata. Sempre più difficile, se non impossibile, conoscere e raccontare le indagini condotte dall’ufficio. A cambiare improvvisamente il rapporto tra stampa e magistratura una circolare interna – che ilfattoquotidiano.it ha potuto leggere – firmata il 29 ottobre 2014 dal procuratore capo di Brescia, Tommaso Buonanno, in cui il capo dei pm richiama il divieto per i magistrati di fornire notizie ai giornalisti. Una norma – l’articolo 5 del decreto legislativo 106 del 2006 – voluta dall’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella, in grado di limitare notevolmente, se osservata alla lettera, l’accesso alle fonti informative per i cronisti.

La direttiva inviata a tutti i pm bresciani ricorda che è assegnato “al procuratore della Repubblica, personalmente o tramite magistrato delegato, il compito di tenere rapporti con gli organi di informazione – si legge nella circolare del 29 ottobre 2014 “Rapporti con la stampa”, n. 103/14 – facendo divieto ai magistrati della Procura della Repubblica di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie alla stampa circa l’attività giudiziaria dell’ufficio”. Formalmente un semplice richiamo al rispetto di uno dei decreti Mastella, approvati in seguito alla riforma della giustizia dell’ex ministro leghista Roberto Castelli. Ma nei corridoi della Procura, la circolare viene letta all’interno del clima di scontro che si è venuto a creare  tra il procuratore capo Buonanno, in carica dall’ottobre 2013, e l’ex procuratore reggente Fabio Salamone, magistrato in servizio a Brescia dagli anni ’90 e numero due della Procura.

Lo scorso 15 ottobre il procuratore Buonanno era finito al centro delle polemiche per un articolo pubblicato dall’edizione locale del Corriere della Sera, secondo cui il magistrato sarebbe stato tra gli indagati nell’inchiesta per i maltrattamenti nella comunità per minori Shalom di Palazzolo sull’Oglio, in cui il figlio del procuratore sarebbe stato “ospitato” contro la sua volontà. Su quella comunità per minori indagava proprio la Procura di Brescia. Ma la posizione del dottor Buonanno, allora procuratore di Lecco, sarebbe stata archiviata “nel giro di 48 ore” dal gip – sempre secondo il Corriere – su richiesta del procuratore aggiunto Sandro Raimondi poco prima che il Csm nominasse Buonanno procuratore capo di Brescia. Ed è della settimana scorsa la pubblicazione, da parte dell’Espresso, di notizie relative a un’indagine per rivelazione di segreti investigativi per la telefonata tra il procuratore aggiunto Robledo e l’avvocato del presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni.

Brescia è un importante distretto giudiziario, sede di Direzione distrettuale antimafia e di Corte d’Appello per tutta la Lombardia occidentale (provincie di Brescia, Bergamo, Mantova e Cremona), e ha competenza per le indagini sui reati commessi dai magistrati milanesi. Oltre a quelli citati, sono diversi i fascicoli che “scottano” sul tavolo dei pm bresciani: dall’inchiesta sul procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati per omissione d’atti d’ufficio, per uno dei fascicoli al centro dello scontro con il suo aggiunto Alfredo Robledo, a quella per induzione indebita sul pm Ferdinando Esposito, figlio del giudice Antonio Esposito, il presidente del collegio della Cassazione che il 1 agosto 2013 ha condannato in via definitiva Silvio Berlusconi a 4 anni per il caso Mediaset.

Sul fronte della criminalità organizzata la Direzione distrettuale antimafia bresciana conduce – in una grave scarsità di risorse denunciata al procuratore generale Pierluigi Dell’Osso, e senza una specifica struttura investigativa – indagini complesse come quelle sulla criminalità economico-finanziaria, sul traffico di rifiuti industriali e sul fenomeno delle “nuove mafie”, tanto che nel dicembre 2013 il capo della Procura nazionale antimafia Franco Roberti ha chiesto l’istituzione di uno specifico nucleo della Divisione investigativa antimafia (Dia) a Brescia.

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