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La caduta del muro di Berlino ha un valore reale e simbolico che lo colloca indiscutibilmente tra i grandi eventi del Novecento. Per lo storico Eric Hobsbawm il 9 novembre 1989 segna proprio la fine del Ventesimo secolo.

La Germania est (Ddr) fu fondata nell’ottobre del 1949. Berlino venne divisa fra il 12 e il 13 agosto 1961. In quella notte i tedeschi dell’Est chiusero ogni varco cittadino sistemando una barriera di filo spinato, preludio alla costruzione del muro. Amici, fratelli, fidanzati, genitori e figli a cui capitò la sventura di non trovarsi dalla stessa parte, sono restati per 28 anni separati, irriducibilmente ostacolati nei loro legittimi ricongiungimenti: migliaia di vite distrutte.

Berlino ovest era una piccola enclave nel cuore della Germania Est. Il confine esterno della città era già stato isolato nel 1952. Nel giugno del ’53 erano arrivati i carri armati sovietici a soffocare una rivolta. Il muro fu eretto per bloccare il continuo passaggio di quanti, stanchi della Ddr, si rifugiavano nella parte ovest della città. Per la Germania est quel flusso in uscita rappresentava economicamente una vera e propria emorragia nonché uno smacco al sistema. Il muro fu presidiato e vigilato su tutto il suo confine da soldati armati che spararono a tutti coloro che tentavano il passaggio (le fonti oscillano nell’indicare il numero delle vittime, in ogni caso rilevante: tra i 98 e i 245 morti).

La barriera insormontabile destò sorpresa e fu vista come un provvedimento momentaneo: “Alla lunga non sarà possibile. Ma pensate anche solo alle famiglie”. Così nei ricordi di Klaus Schlesinger, giornalista e scrittore della Ddr in Von der Schwierigkeit, Westler zu werden (La difficoltà di diventare occidentale – 1998).

Allo stesso modo, anche la caduta del muro appare inattesa e frutto di un equivoco, quantomeno nella modalità. Il ministro Ddr della propaganda Günter Schabowski durante una conferenza stampa alle 18 del 9 novembre, comunicò, in diretta tv, che sarebbe stato possibile attraversare il confine, ma non essendo a conoscenza dei dettagli che permettevano il passaggio, disse che l’apertura sarebbe stata attiva da subito, scatenando i berlinesi dell’Est verso il muro. In quella serata del 9 novembre 1989 il varco fu aperto, ma molti non passarono il confine temendo di rimanere per sempre chiusi dalla parte sbagliata. Fu una lunga festa, di abbracci, di brindisi improvvisati, l’esplosione di genuina felicità di chi si sente liberato da un peso, da un ostacolo inaccettabile. Poi il rincorrersi di persone nei giorni successivi, per andare a vedere se era vero che, finalmente, dal muro si poteva passare.

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Quel confine era diventato quasi il segno di un’identità perduta, come racconta Peter Schneider ne Il saltatore del muro (Sugarco, 1991).

Sfruttando la congiuntura internazionale favorevole – con l’Unione sovietica avviata verso la dissoluzione -, la Germania ovest guidata del cancelliere Helmut Kohl stende l’architettura di una rapidissima unificazione che giunge il 3 ottobre 1990. E’ l’Ovest che ingloba l’Est o, per dirla con le parole del Nobel della letteratura Günther Grass, è l’Ovest che colonizza l’Est. Nelle prime elezioni libere nei territori della ex Ddr (quasi 17 milioni di abitanti), l’Unione dei cristiano-democratici (Cdu) del cancelliere Kohl fa il pieno di voti abbinando le immagini di libertà e prosperità.

Non è però tutto oro quello che luccica: i tedeschi dell’est, sono colpiti 2 volte; prima da un regime autoritario, poi da un regime democratico che ha dischiuso nuovi orizzonti solo potenzialmente. I primi anni sono stati durissimi: drastica riduzione dello stato sociale, fine del lavoro sicuro. Si alza il tasso di disoccupazione, iniziano le nuove forme di lavoro parziale. Poi arrivano i grandi affari per i magnati dell’Ovest con la Treuhand, la società fiduciaria incaricata di privatizzare i beni statali della Ddr né mancano, come se fosse stata una guerra civile vinta, le procedure di epurazione politica – presentate in versione soft con il nome di valutazione (evaluierung) – che smantellano tutte le istituzioni orientali, fra le altre l’Accademia delle scienze, e decimano il corpo accademico, con la spiacevole situazione che vede i colleghi dell’Ovest giudicare quelli dell’Est. A confronto, l’epurazione amministrativa del personale nazista è stata molto più blanda.

Le generazioni più anziane sono state bruciate e solo i giovani sono riusciti ad adeguarsi e a entrare nel sistema. Sono stati anche anni costellati dalla riemersione della violenza politica di estrema destra. Soltanto nel 1992 ci sono stati più di duemila attentati a sfondo neonazista con diciassette vittime.

Ora all’Est prevale la disillusione. Il gap con le ricche regioni dell’Ovest non solo non è stato colmato, ma negli ultimi tempi non si riduce. Nel 2011 alle elezioni amministrative del Meclemburgo-Pomerania Anteriore (Mecklenburg-Vorpommern), il land a nord est del Paese, ha votato soltanto il 52%. C’è un notevole flusso di migranti giornalieri e di giovani che abbandonano la zona cercando lavoro all’Ovest. In diverse aree di questo land, come del confinante Brandeburgo (le regione di Berlino) la disoccupazione è arrivata a toccare punte del 20%, un’enormità se confrontato al dato nazionale che, ad agosto, ha registrato appena il 4,9%.

I westpaket, i pacchi dono che gli occidentali ai tempi del muro mandavano ai parenti poveri dell’Est, sembrano proprio finiti.

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