25 anni  fa,  il 9  novembre 1989, ero a Radio Popolare, da poco tornato da Berlino dove avevo osservato e raccontato (al telefono, per lo più a gettone) lo straordinario moto popolare e democratico che stava cambiando a grande velocità la Germania Est, travolgendo il dominio del partito Sed e della sua nomenklatura. Ero ancora entusiasta per la forza e per l’orientamento della manifestazione del 4 novembre, Wir sind das Volk, noi siamo  il popolo, con la sua placida e composta allegria, i suoi striscioni filosofici (“fine del predominio di un solo partito” e simili). Un serpentone universale in cui apparentemente c’erano tutti, come in un Primo Maggio che avevo visto qualche anno prima sulla Karl Marx, con la differenza che al Primo Maggio erano palesemente in svaccata processione, ansiosi di tornarsene a casa, mentre questa volta erano tutti compresi nel ruolo di chi sta cambiando la storia.

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Se avesse voluto, quel corteo avrebbe occupato i palazzi del potere e travolto i presìdi di frontiera del Muro che separava le due Berlino. Ma non aveva questa intenzione, piuttosto quella della crescita di una sorta di democratizzazione del socialismo. La stessa di cui si parlava la sera nelle assemblee del Neues Forum, nelle Chiese Evangeliche gremite in preparazione del 4 novembre. Ero tornato a Milano perché non mi aspettavo – come del resto nessuno si aspettava – un così rapido e drastico allentamento delle frontiere. I manifestanti del 4 novembre dicevano di volere una Germania diversa da quella che era stata la Ddr e diversa da quella capitalista dell’Ovest: sembravano incarnare i  sogni della generazione del 68 e di quella dei Grunen, dei Verdi tedeschi.

Ma il 9 novembre qualcuno annunciò che le frontiere erano aperte. Quelle frontiere che pochissimi cittadini della Germania Est avevano potuto varcare. Solo i vecchi avevano diritto di visitare Berlino Ovest. Invece i berlinesi dell’Ovest, isola ricca e liberale, circondata dal mare del socialismo burocratico fermo agli anni 50, loro sì erano andati tutti quanti almeno una volta all’Est, pagando il visto giornaliero. A mezzanotte, come Cenerentola, dovevano tornare a Ovest. Anche Antonio, barista sardo, che si era fidanzato con un ragazzo dell’Est e qualche volta si faceva accompagnare al Muro poco prima di mezzanotte, e ritornava un’ora dopo per dormire con Werner, pagando un altro visto giornaliero. A proposito: per il 9 novembre era programmata a Berlino Est la prima del primo film gay girato nella Germania “comunista”, dal titolo in inglese Coming Out.

Dunque, io ero a Radio Popolare quel pomeriggio in cui cominciavano ad arrivare notizie sull’apertura delle frontiere, e un po’ incredulo ma anche un po’ inquieto andai lo stesso al cinema con un giovane amico al quale l’avevo promesso. Non c’era il telefonino con Internet da controllare. All’uscita mi precipitai in radio, ad apprendere che migliaia di berlinesi dell’Est sciamavano di notte a guardare Berlino Ovest. E poi cominciarono quelli dell’Ovest, in genere ragazzi poco politicizzati, a salire sul Muro e a smantellarlo. Il giorno dopo riuscì a trovare un aereo per tornare dal nostro corrispondente e mio amico Walter Rauhe. A guardare con curiosità e meraviglia le masse dell’Est che si accalcavano per venire a Berlino Ovest, a festeggiare ma soprattutto a guardare le vetrine. Com’è noto, le vetrine dell’Ovest poterono molto di più degli slogan filosofici del 4 novembre. E presto i Verdi del Neues Forum vennero scalzati dal successo all’Est dei democristiani.

Due sere dopo attraversai del tutto contro corrente la frontiera interberlinese per andare a vedere Coming Out. Le strade erano semideserte, chi era uscito di casa era andato a Ovest. Anche la sala era semideserta. Il primo film gay della Ddr aveva già un sapore “vintage“.

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