“Occorre accelerare i tempi, per tutelare questa scoperta. La più importante degli ultimi decenni”, affermava nell’ottobre del 2010 Marisa De Spagnolis, già responsabile della Soprintendenza Archeologica del Lazio. Ad essere stati individuata dalle indagini archeologiche preventive alla realizzazione di un Piano integrato di edilizia residenziale e di un moderno edificio di culto, a San Cesareo, piccolo centro a sud-est di Roma, erano i resti di un esteso complesso antico.

La grandiosità delle strutture, la loro articolazione planimetrica e la bellezza dei mosaici pavimentali individuati in località Colle Noci, catalizzano l’interesse di molti. La grande villa associata ad un esteso settore termale e ad un’area di necropoli, che potrebbe essere identificata con quella imperiale dove Massenzio avrebbe ricevuto notizia della elevazione alla dignità imperiale nel settembre del 306 d.C., senza tuttavia escludere il riferimento alla località di ad Statuas, posta al XVIII miglio della via Labicana dalla Tabula Peutingeriana, è in pericolo. La legittima preoccupazione che, come troppo spesso accade, un sito archeologico sia costretto ad essere sacrificato per lascare spazio a nuove costruzioni, viene allontanata. Anche grazie all’intervento dell’ex Sottosegretario Francesco Giro, la Soprintendenza Archeologica per il Lazio appone un vincolo diretto sull’area nel luglio 2011. Il destino del piano edilizio “La Petrara”, che comprende palazzine residenziali e un centro commerciale, ai quali va aggiunta la progettata nuova chiesa di S. Giuseppe, non sembra mutare gran che. Anzi. Gli originari 27.335 metri cubi di costruzioni su un’area di 28mila metri quadrati con palazzine alte 10,50 metri al massimo, aumentano dopo il ritrovamento della villa imperiale. I metri cubi diventano 54.626, l’area di 34.556 metri quadrati e gli edifici raggiungono i 18,50 metri. Mentre in quel pezzo di territorio di S. Cesareo, tra la via Casilina e viale della Resistenza, ancora campagna ma destinato a saldarsi con il centro urbano, si continua a scavare, la descrizione riportata nel sito online della Direzione Generale per le antichità, confermata da quel che si vede visitando il sito, riferisce di quasi 20mila metri quadrati di strutture antiche, databili dalla fine dell’età repubblicana al IV secolo d. C., con mosaici policromi in paste vitree, marmi pregiati, ambienti affrescati, un ninfeo e un complesso termale monumentale con una vasca da 600metri quadri.

Nel 2013 una nuova campagna di indagini, coordinata ancora dalla Soprintendenza Archeologica per il Lazio. Nella circostanza, a nord dei resti della villa, in un’area di espansione del Piano Integrato, si rinvengono un tratto di oltre 200 metri della via Labicana e circa 150 tombe di varie epoche, alcune con un notevole corredo. Il sito archeologico è evidentemente straordinario. “Una villa di difficile interpretazione, ma in odore di santità”, a detta di Federico Guidobaldi, Presidente dell’Associazione Italiana per lo studio e la conservazione del mosaico.

Ma nonostante tutto questo i problemi ancora tanti. “L’area archeologica versa oggi in uno stato di totale abbandono. I mosaici e le murature nono sono stati adeguatamente protetti e la neve, il gelo e le piogge dei mesi scorsi hanno fatto uno scempio, oltre alle erbacce che ora stanno infestando le strutture”, denuncia Paolo Scacco del Comitato Salviamo la Villa di Cesare nel luglio 2012. Un’incuria che aveva già sollecitato, nel 2011, due interrogazioni al Consiglio regionale, presentate da Di Carlo del Pd e da Buonasorte della Destra, e nel giugno 2012 perfino alla Camera, da Madia del Pd. Interrogazioni che comunque non sembrano aver contribuito a migliorare le condizioni del sito. Infatti nel maggio 2014 il Comitato di Difesa Colli Prenestini Castelli Romani in un esposto inviato alla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio denuncia, tra l’altro, come “la zona vincolata non risulta recintata e quindi separata dal resto del Piano Integrato” e come “la stessa versa in condizioni di completo abbandono e degrado”. Non solo. Continua a mancare un vincolo indiretto sull’area. Il progetto della chiesa, stralciato dal piano edilizio, è stato mutato, sia per quanto riguarda pianta ed alzato che per la posizione.

Nel capitolato dei lavori si legge che “Per la fruizione e l’accesso al sito è prevista la delimitazione dei luoghi più significativi con una recinzione, un percorso sopraelevato con struttura metallica e pavimentazione in legno, un adeguato spazio di accoglienza con un ufficio informazioni, un book shoop, ed un antiquarium…Il tutto ipogeo a ridosso del complesso parrocchiale senza invadere la parte vincolata. L’area sarà resa accessibile a tutti con ausili per ipo e non vedenti con la dotazione di rampe per raggiungere la quota degli scavi. Il tutto arricchito da appositi apparati divulgativi con la riproduzione della ricostruzione delle strutture antiche in altorilievo per l’esplorazione tattile”.

Le risorse per provvedere alla realizzazione di queste opere si recupereranno, come si legge ancora nel capitolato dei lavori, “attraverso lo scomputo di parte degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, fatta salva l’attrezzatura espositiva dell’antiquarium per la quale si rimanda la decisione al termine dei lavori avendo inoltrato richieste di contributo al Ministero dei Beni Culturali ed altri enti”.

In attesa della conferenza dei servizi definitiva del prossimo novembre, nella quale si deciderà sul nuovo progetto della chiesa di S. Giuseppe, la Soprintendenza Archeologica ha richiesto, tra l’altro, di poter effettuare indagini preventive nell’area del parcheggio, lungo via della Resistenza.

Le associazioni locali, a partire dal Comitato di Difesa del Territorio Colli Prenestini-Castelli romani, supportate anche da Italia Nostra, continuano a vigilare. Vorrebbero davvero che quel sito archeologico diventasse l’occasione per cambiare la storia di S. Cesareo. Per mutare il modello di sviluppo. “L’impegno di questa amministrazione è quello di agire per difendere, valorizzare e rendere pienamente fruibile questo importante patrimonio culturale. La villa di Massenzio darà pregio alla nostra città e potrà nel contempo contribuire a garantire occupazione”, diceva il sindaco Pietro Panzironi nel novembre 2010. C’è da augurarsi che palazzi, edificio commerciale e chiesa non derubrichino quelle strutture, uniche, ad un contorno degradato. Insomma che la nuova urbanizzazione non costringa le strutture antiche in un recinto che pur assicurandone la conservazione, le privi del necessario contesto. Intanto, in attesa che si decidano modalità e tempi, l’area archeologica resta in abbandono.

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