Accanto ai lavoratori dell’acciaieria di Terni, sotto il ministero dello Sviluppo Economico a Roma, c’erano anche i dipendenti della Jabil di Marcianise (Caserta), dell’azienda statunitense, leader mondiale nella produzione di componenti elettronici, che ha deciso di mettere in mobilità 380 lavoratori su 600. “Jabil, Terni, cambia il nome ma la sostanza è la stessa, ci mandano a casa e lo Stato non controlla, non è così negli altri paesi europei, qui da noi le aziende fanno come vogliono, noi vogliamo lavorare, non vogliamo la cassa integrazione” dice una lavoratrice ai nostri microfoni. “Spero di ricevere buone notizie” aggiunge. Al termine del vertice con i sindacati e il governo però non arrivano quelle sperate. La mobilità è sospesa fino al 17 novembre, data in cui è stato fissato un nuovo tavolo di lavoro. Ma i lavoratori si ribellano. “Venduti, venduti, basta” gridano ai loro rappresentanti sindacali. “Abbiamo a che fare con una multinazionale, non sono mica i ministri che decidono, ma chi sta sopra di loro” spiegano i sindacalisti. “Non dobbiamo entrare in fabbrica, facciamola chiudere” rispondono i lavoratori. Rabbia e amarezza si mescolano, tutti sembrano dei Don Chiscotte nostrani in lotta contro i mulini al vento  di Irene Buscemi

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