Dopo le critiche e i rilievi arrivati da Bruxelles la scorsa estate, evidentemente Palazzo Chigi ha aggiustato il tiro. Così la Commissione, il giorno dopo il parziale via libera alla legge di Stabilità, ha concesso l’imprimatur anche all’accordo di partenariato con l’Italia. Cioè il documento in cui si delinea la strategia nazionale per la spesa di 44 miliardi di fondi Ue che affluiranno nel nostro Paese di qui al 2020. Nello specifico, 32,2 miliardi di euro di finanziamenti totali arriveranno dalla politica di coesione, 10,4 miliardi per lo sviluppo rurale, 1,1 destinati alla Cooperazione territoriale europea e 567,5 milioni per la Garanzia giovani. Peccato però che i programmi di spesa di Campania, Calabria e Sicilia manchino ancora all’appello. E che le tre regioni corrano il serio rischio di perdere i soldi della precedente programmazione, quella che si è conclusa nel 2013.

L’ok della Commissione Ue, ha spiegato in conferenza stampa Nicola De Michelis della Direzione generale per le politiche regionali, arriva dopo “sei mesi di negoziato” per superare varie criticità del documento preparato da Roma con la regia del sottosegretario Graziano Delrio e spedito a Bruxelles lo scorso 22 aprile: scarsa “capacità amministrativa”, “identificazione insufficiente degli interventi strutturali necessari per riguadagnare competitività”, assenza di una “vera strategia” sull’Agenda digitale e sulla difesa del patrimonio culturale, troppo poche risorse destinate al contrasto dell’abbandono scolastico.

Il governo ha risolto (in parte) la questione “impegnandosi politicamente, per quanto riguarda gli stanziamenti delle politiche di coesione, a presentare per ciascun piano operativo regionale (Por) e nazionale (Pon) uno specifico piano di rafforzamento amministrativo (Pra)”. Per evitare la dispersione delle risorse, altro punto di criticità, si è arrivati a concordare una riduzione dei campi di intervento, attraverso “concentrazioni tematiche”, con particolare attenzione ai temi di ricerca e dell’innovazione del sistema produttivo. Resta aperto il “caso” delle tre regioni meridionali i cui programmi di spesa non sono pervenuti. Si tratta dagli ultimi in assoluto nell’Unione, insieme a un programma svedese, ha spiegato De Michelis. Che ha anche avvertito come su Calabria, Campania e Sicilia ci sia un’ulteriore preoccupazione: “A fine 2015, quando si chiude definitivamente il periodo di programmazione”, potrebbero non essere in grado di dimostrare di aver speso tutti i fondi a loro disposizione, perdendoli.

Di conseguenza l’Italia entra nel drappello dei ritardatari i cui programmi operativi (60 su 300 complessivi presentati da regioni e Stati) saranno adottati in ritardo, “non prima di metà del 2015”. D’altronde il nostro Paese, nel complesso, è uno degli ultimi (insieme a Spagna, Regno Unito, Belgio) ad avere ottenuto l’ok di Bruxelles all’accordo di partenariato. Ultima in assoluto è l’Irlanda.

 

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