Partiamo da una verità semplice e apparentemente sconvolgente: in termini globali il calcio è oggi lo sport più praticato dalle donne. Siamo di fronte ad uno dei trend più clamorosi dell’ultimo ventennio sportivo. Il traino globale di questo processo è stata l’esplosione della pratica calcistica al femminile nel mondo nordamericano, soprattutto a livello giovanile e scolastico. Due dati su tutti: nel 1981 c’erano ottanta squadre di calcio femminili nelle tre divisioni principali della Ncaa, la lega sportiva dei college americani, oggi se ne contano quasi un migliaio. Sette milioni invece è il numero delle praticanti. E poi ci sono le “soccer mom”, le mamme che accompagnano le proprie figlie a giocare a calcio, sono ormai diventate un fenomeno di costume, oltreché un target politico.

Guardarle durante una partita di calcio è molto divertente. In Italia, non esiste un fenomeno del genere. Qui non si tratta di fare il tifo o incitare al gol la propria figlia, ma è un vero e proprio ritrovo, con dei rituali comuni, con una dialettica comune, con interessi comuni. E soprattutto con un braccialetto comune: ho assistito all’incontro nella metropolitana di San Francisco (la Bart) di due signore, entrambe hanno mostrato grande stupore quando una ha visto indossare all’altra il braccialetto d’argento, con la scritta Soccer Mom, subito si sono abbracciate, e si sono messe a discutere. Essere Soccer Mom significa appartenere ad una vera e propria classe sociale. Si tratta di donne sui 40-45 anni, bianche, con una figlia femmina teen-ager (almeno, ed altre più piccole al seguito) che vanno a vedere le partite di calcio nei tornei dei college (e delle high school) e si trovano la sera tra di loro (solitamente sono casalinghe, non fanno altro tutto il giorno). Hanno un modo di parlare molto particolare, rivendicano questa attività come un vero lavoro, si trovano la sera a parlare di calcio, e poi alle figlie trasmettono i valori buoni di questo sport. Fanno il tifo a bordo campo, ma discretamente, non inneggiano a violenza o fama.

In Europa, il fenomeno delle Soccer Mom l’ho trovato, anche se solo agli inizi, in Francia e in Inghilterra, perché ci sono due club che hanno legato contrattualmente il calcio maschile a quello femminile: si tratta dell’Arsenal e dell’Olympic Lyon.

E in Italia? Da noi sembra sempre di raccontare in piccolo la storia delle tante leadership innovative non portate a termine dal nostro Paese, sulla scia del modello Olivetti. Negli anni Settanta siamo stati tra le prime nazioni a sviluppare il movimento del calcio femminile, ottenendo risultati internazionali di rilievo negli anni Ottanta e sfornando campionesse del calibro di Carolina Morace. Poi un lento declino, ben descritto dal dato attuale delle undicimila tesserate donne sul totale di 1.151.437 calciatori tesserati per la Figc. Ma il mondo del calcio femminile italiano è fatto di poche realtà artigianali resistenti ed eroiche, che devono affrontare enormi sforzi organizzativi con risorse esigue, ma incapaci di attrarre sponsor o attenzioni mediatiche.

Patrizia Panico appare sporadicamente sui media sportivi per commentare il calcio maschile. L’unica nota parzialmente positiva è l’aumento di popolarità del calcetto tra le ragazze. Ma nessun esercito di Soccer Mom al seguito. Da noi le ragazze vanno al campo da sole.

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