Reyhaneh Jabbari, 26 anni, è stata impiccata all’alba di questa mattina. Con magnanimità, le autorità iraniane hanno avvisato ieri pomeriggio la madre, che ha potuto incontrarla un’ora in carcere per darle l’ultimo saluto.

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Come ricorderanno i lettori e le lettrici de il Fatto Quotidiano, Reyhaneh Jabbari era stata condannata a morte nel 2009 al termine di un’indagine e un processo profondamente viziati. Era stata arrestata nel 2007 per l’omicidio di Morteza Abdolali Sarbandi, un ex impiegato del ministero dell’intelligence iraniano. Era stata tenuta in isolamento per due mesi, senza poter vedere l’avvocato e i familiari.

Reyhaneh Jabbari ammise di aver accoltellato alle spalle Morteza Abdolali Sarbandi, dopo aver subito un’aggressione sessuale da parte dell’uomo. La donna disse tuttavia che l’omicidio era stato commesso da un altro uomo presente nella stanza. Queste sue dichiarazioni tuttavia non furono mai adeguatamente investigate, anche perché le autorità l’hanno costretta a sostituire il suo avvocato con un collega inesperto.

Le procedure giudiziarie iraniane difficilmente riescono, in casi controversi come questo, ad accertare la verità durante un processo. Nel dubbio, si va avanti.

L’esecuzione di Reyhaneh Jabbari era stata rinviata una serie di volte, l’ultima delle quali il 30 settembre. In quell’occasione, sollecitate dagli appelli provenienti da ogni parte del mondo, le autorità iraniane avevano cercato una mediazione tra le famiglie, quella di Reyhaneh e quella di Sardandi. La condizione per il “perdono” era che Reyhaneh negasse di essere stata stuprata, riabilitando così l’onore della vittima. Condizione rifiutata.

Appena la pressione è diminuita, la macchina della morte si è rimessa in moto. In Iran, quest’anno, siamo prossimi alle 600 esecuzioni.

Ora Reyhaneh riposa in pace. Altre centinaia di persone sono in attesa dell’esecuzione nei bracci della morte del paese.

La pena di morte è una vera e propria emergenza dei diritti umani in Iran. Sotto la presidenza del “moderato” Rouhani sono state eseguite oltre 1000 condanne a morte. Dalla strumentalizzazione, fatta da alcuni stati, dei diritti umani sotto la presidenza di Ahmadinejad siamo passati all’indifferenza totale in nome della “normalizzazione” dei rapporti e della ripresa delle relazioni commerciali.

La comunità internazionale deve affrontare seriamente e sollevare il tema della pena di morte nelle sue relazioni con Teheran. Questo vale anche per il governo italiano. Non basta, per gli stati, alzare la mano una volta all’anno, all’Assemblea generale, per votare a favore della moratoria sulle esecuzioni.

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