Dal testo e dai numeri della legge di Stabilità saltano fuori varie sorprese. Un disavanzo aggiuntivo per poco più di 7 miliardi, nuovi assunti con decontribuzione solo per l’anno 2015, aumento delle entrate grazie alla tassazione dei Tfr che entrano in busta paga. Infine, meno tagli ai ministeri.
di Tito Boeri (Fonte: lavoce.info)

Finalmente abbiamo un testo per la legge di Stabilità e una relazione tecnica. Non poche le sorprese rispetto alle variopinte slide renziane. Cominciamo dal potenziale espansivo della manovra che si può desumere dai saldi. Il disavanzo aggiuntivo dovrebbe essere appena al di sopra dei 7 miliardi rispetto agli 11 delle diapositive mostrate a Palazzo Chigi una settimana fa. Questo si deve non solo alle riserve accantonate in previsione di richieste della Commissione europea (che, a quanto pare, ci saranno), ma anche ad aggiustamenti successivi richiesti per la “bollinatura” della Ragioneria dello Stato.

I costi della decontribuzione

La seconda importante sorpresa riguarda la decontribuzione dei nuovi assunti con contratti a tempo indeterminato. La misura sarà in vigore per il solo 2015. Non sono previste clausole di addizionalità, vale a dire anche imprese che abbiano ridotto gli organici negli ultimi anni o mesi potranno accedervi. Data l’entità dello sgravio (riduce di un terzo il costo del lavoro) e la sua temporaneità (solo 2015) probabile che ci sia un forte effetto di sostituzione sia con posti di lavoro già esistenti che nel corso del tempo. Ad esempio, presumibile che si avrà un forte effetto sulla distribuzione nel tempo delle assunzioni: forte calo nei restanti mesi del 2014, impennata a inizio 2015 e poi ancora a fine anno, prima che l’agevolazione scada. Il Governo prevede che a beneficiarne siano 1 milione di posti di lavoro. Potrebbe essere una sottostima alla luce degli effetti di sostituzione di cui sopra. Assume inoltre che le assunzioni siano distribuite uniformemente nel corso dei mesi del 2015. Questo spiega perché i costi dell’agevolazione siano previsti molto più bassi nel 2015 che nel 2016 (vedi ultima riga della tabella): si presume infatti che i nuovi contratti attivati nel 2015 abbiano una durata media di sei mesi.

Anche se prendiamo per buona la stima governativa di 1 milione di contratti a zero contributi previdenziali e ci limitiamo a cambiarne il profilo temporale, prevedendo che il 20 per cento di queste abbia luogo a gennaio 2015 e un altro 20 per cento a dicembre 2015 con – in mezzo a queste due picchi – 60mila assunzioni al mese, otteniamo una stima dei costi nettamente superiore a quella del Governo, attorno ai 3 miliardi per il 2015. Da notare che noi abbiamo utilizzato i dati EU-Silc per stimare i salari d’ingresso in questi contratti, mentre la relazione tecnica si è avvalsa dei dati dell’Inps (che a noi non sono stati concessi). Ma le differenze nelle stime nostre e della relazione tecnica si spiegano soprattutto col diverso profilo temporale delle assunzioni. Infatti, la spesa del 2016, quando questo fattore temporale non conterà più, sarebbe per noi di soli 400 milioni più alta di quella del governo.

Effetto Tfr in busta paga

Un’altra sorpresa riguarda il contributo delle entrate alla manovra. È di circa 10 miliardi. Questo si deve soprattutto al fatto che 2.5 miliardi vengono dalla tassazione del Tfr in busta paga. Vero che l’intera operazione è praticamente a saldo zero per la Pubblica amministrazione allargata (alle maggiori entrate associate al pagamento dell’Irpef sul Tfr in busta paga si devono dedurre i minori versamenti al fondo dell’Inps che replica il Tfr). La relazione tecnica ipotizza, infatti, che siano soprattutto i lavoratori delle grandi imprese a portare il Tfr in busta paga, quelli che alimentano il flusso verso l’Inps. Tuttavia se il Tfr venisse smobilizzato in misura superiore a quanto ipotizzato dal Governo dai lavoratori delle imprese con meno di 50 dipendenti (quelli per cui non opera il fondo Inps), che hanno i salari e tasse marginali Irpef più basse e un più alto rischio di fallimento della loro impresa, ai quali dunque l’operazione può sembrare più vantaggiosa, lo smobilizzo del Tfr in busta paga può portare ad aumentare e, non di poco, il prelievo netto operato dallo stato con questa operazione.

La natura dei tagli

Il tanto declamato bonus bebè vale circa 300 milioni. Ci si chiede se valga la pena di istituire nuovi programmi, creando nuovi entitlement, su programmi così limitati. Per sostenere le famiglie e incoraggiare la fertilità ci si può in gran parte avvalere su istituti esistenti, a partire dall’ampliamento dell’offerta di asili nido. L’unica cosa è che fare di più di ciò che c’è già non permette di fare annunci in Tv.

I tagli alle spese dei ministeri hanno più dettagli che in precedenti leggi di Stabilità. Questo è un fatto positivo perché sembra testimoniare che non siano solo obiettivi generici, ma che siano stati già identificati provvedimenti concreti. Il problema è che la somma di questi provvedimenti porta risparmi per 1,7 miliardi al posto dei quasi 5 miliardi annunciati una settimana fa. Un esame più approfondito delle singole voci è comunque fondamentale. Bene che il nuovo Ufficio parlamentare di bilancio sia al lavoro.

Infine, le Province ci rimettono dalla manovra, con un taglio secco di  1 miliardo di spesa. Per i Comuni il calcolo è più complesso. Anche loro devono ridurre le spese per 1,2 miliardi. Ma i Comuni si vedono anche sbloccare 3,3 miliardi dal Patto di stabilità interno, compensati però dai 2,3  miliardi di spese non più effettuabili sulla base di crediti difficilmente esigibili. L’effetto netto è dunque +1 miliardo che accoppiato alle riduzioni di 1,2 miliardi dà un saldo netto negativo di soli 200 milioni per il comparto. Ma naturalmente si tratta del pollo di Trilussa; le disposizioni influenzano i diversi Comuni in modo diverso e quindi gli effetti netti su ciascun singolo ente saranno molto diversi.

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Tito Boeri Ph.D. in Economia alla New York University, per 10 anni è stato senior economist all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, poi consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione Europea e dell’Ufficio Internazionale del Lavoro. Oggi è professore ordinario all’Università Bocconi, dove è anche prorettore alla Ricerca, e Centennial Professor alla London School of Economics. E’ Direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, responsabile scientifico del festival dell’economia di Trento e collabora con La Repubblica. I suoi saggi ed articoli sono scaricabili a questa pagina: http://mypage.unibocconi.it/titomicheleboeri/ Redattore de lavoce.info. Segui @Tboeri su Twitter
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