Vita

Tutti parlano del Jobs Act, tra qualche giorno assisteremo all’ennesima fiducia del governo Renzi alla Camera dei Deputati. Ma vi ricordate come è nato il Jobs Act? La prima ipotesi di Jobs Act apparve sulla newsletter di Matteo Renzi dell’8 gennaio 2014, quasi un anno fa. Una base di discussione davvero rivoluzionaria: riduzione del costo dell’energia del 10%, semplificazione amministrativa, riduzione delle forme contrattuali dalle oltre 40 presenti oggi nel Paese, assegno universale per chi perde il posto di lavoro, legge sulla rappresentatività delle organizzazioni sindacali ma, soprattutto, un piano industriale su sette linee guida (ICT, Green Economy, nuovo welfare, manifattura, made in Italy, ecc.).

Man mano che è passato il tempo sempre più “pezzi” sono andati persi. Le decine di conferenze stampa che Renzi ha fatto per tenere viva l’impressione di una sua politica veloce e rivoluzionaria hanno sempre più ristretto il campo del Jobs Act. Il dibattito si è ristretto fino a ridursi ad una discussione che verte solo sui diritti (articolo 18) cercando di aprire una “guerra tra poveri” tra i cosiddetti garantiti e i giovani.

Dov’è finita la legge sulla rappresentanza sindacale e, quindi, sulla democrazia nei luoghi di lavoro? Non si vede all’orizzonte. Dove è finita la riduzione dei contratti? Nulla di nuovo sul fronte occidentale. E la politica industriale? Beh, se il Presidente del Consiglio per andare a trovare l’Amministratore Delegato del principale gruppo industriale italiano deve andare a Detroit non sembra che le idee siano tanto chiare. 

Miracoli

Padoan asserisce che questo Jobs Act creerà 800.000 posti di lavoro, senza politiche industriali, senza un nuovo welfare. Insomma, senza idee. Infatti sono i dati a dimostrarlo: le politiche di flessibilizzazione del lavoro avviate negli anni ’90 in Italia non hanno ridotto la disoccupazione, non ci ha fatto evitare la crisi, anzi ha fatto lievitare la povertà. In Italia infatti le tutele dei lavoratori dal 1990 al 2013 si sono ridotte di oltre il 40%, dal valore 3,82 al 2,26 dell’Employment Protection Legislation Index (EPL), che misura il grado di protezione generale dell’occupazione (per approfondire leggere questo articolo)

Una pubblicità progresso che gira in Tv in questi giorni (di quelle che dicono “di Europa bisogna parlare”) decanta i vantaggi della libera circolazione in Europa per la facilità dei nostri giovani ad emigrare. Tutto vero, peccato che non si dica che l’Italia espelle personale altamente qualificato (la pubblicità parla del caso di Londra con decine di migliaia di giovani ricercatori italiani emigrati negli ultimi anni) e attrae personale a basse qualifiche: basta vedere questo per capire la perdita di competitività del nostro paese. 

Morte

La fiducia sul Jobs Act alla Camera non chiuderà nessuna partita. I prossimi mesi saranno costellati da Decreti attuativi che dovranno declinare i paradigmi contenuti nella Legge Delega e man mano che passa il tempo cresce la protesta: dopo i cortei studenteschi del 10 ottobre scorso sarà la CGIL a riempire Piazza San Giovanni sabato 25 ottobre mentre il 14 Novembre i movimenti sociali riuniti a settembre nello Strike Meeting promuoveranno uno sciopero sociale.

Per discutere di tutto questo ed elaborare un vasto piano di proposte i giovani di ACT! (Agire, Costruire Trasformare) hanno lanciato un’assemblea che si svolgerà il 26 Ottobre a Roma con l’obiettivo di lanciare una vasta campagna per immaginare un nuovo modello di sviluppo che crei lavoro di qualità.

Insomma, se Renzi ha ridisegnato tutti i contorni della sua creatura, la società italiana sembra essersi svegliata e decisa a proporre alternative complete e coerenti per respingere questa riforma. Dopo la vita e i miracoli di questo Jobs Act, i prossimi mesi saranno decisivi per capire se questa Riforma continuerà il suo percorso o si arenerà come tante Leggi partorite dai precedenti Governi.

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