Germano Dottori, docente di studi strategici presso la Luiss-Guido Carli di Roma. Serve un intervento di terra in Iraq e Siria?

“Nessun intervento militare può essere efficace se non è funzionale alla realizzazione di una soluzione politica chiara e sostenibile. Il quadro che si è determinato a cavallo tra Siria ed Iraq è tale da far ritenere che questo presupposto manchi. Gli americani hanno immaginato di utilizzare come forze di terra contro lo Stato Islamico le milizie curde e l’esercito regolare iracheno, più che altro in chiave di contenimento, riservando a se stessi il compito di proteggerle dall’aria. I curdi, tuttavia, hanno incontrato difficoltà nel battersi in pianura, mentre è emersa la debolezza dell’Esercito di Baghdad. Ecco perché il Califfato continua a mietere dei successi, che tuttavia non andrebbero esagerati”.

Eppure lo Stato Islamico pare avanzare velocemente.

“Occorre attendere. Non è detto infatti che la fiammata dell’Isis duri. Specialmente se si riuscirà a privarlo delle fonti economiche di sostentamento, come si sta cercando di fare. Non a caso, Obama ha parlato di un confronto di lunga durata, che potrebbe non esaurirsi nell’arco del suo mandato. Non penso che gli americani interverranno con truppe consistenti in una situazione confusa, nel quale nessuno dei principali attori coinvolti condivide le finalità della politica mediorientale di Washington. Onestamente, non riesco a vedere un solo motivo per farlo. Le controindicazioni superano ogni possibile vantaggio teorico. Che poi il Pentagono dica cose diverse è ovvio. La strategia di Obama ne riduce il peso”.

L’impressione è che Isis abbiamo vita più facile in Iraq che a Kobane. Cosa vuol dire? Che i curdi combattono e l’esercito iracheno no?

“I contesti sono differenti. Un conto è avanzare nel vuoto del deserto, contando anche sull’appoggio di elementi locali. Altro è battersi in un ambiente montuoso, che favorisce intrinsecamente chi si difende rispetto a chi attacca. Comunque, anche se hanno subito qualche rovescio, le milizie curde hanno finora dimostrato una superiore coesione rispetto a quella dell’Esercito regolare di Baghdad, che ha subito lo sbandamento di intere divisioni”.

La Turchia non interviene nonostante abbia gli jihadisti quasi dentro casa. Quanto potrà durare questa situazione?

“Durerà fintantoché Erdogan subordinerà il proprio intervento alla discesa in campo degli Stati Uniti contro Assad. Che per Washington è tuttavia intoccabile, a causa del timore che una sua caduta possa determinare la crisi della Presidenza riformista di Rouhani in Iran, con cui la Casa Bianca vuole trattare. L’obiettivo principale di Obama in Medio Oriente non è quello di fare della Turchia l’egemone locale, tutt’altro, ma è il progresso del negoziato con Teheran, per giungere ad una storica riconciliazione che cambierebbe il volto della regione e gli equilibri eurasiatici nel loro complesso. Kobane può essere sacrificata”.

Negli Usa i militari premono per l’intervento di terra, l’amministrazione Obama ha detto non ci sarà. Dopo le elezioni di mid term potrebbe cambiare strategia?

“Dopo l’appuntamento con le elezioni di mid-term, l’America entrerà nella lunga campagna presidenziale per la scelta del successore di Obama. Non penso che il voto sarà decisivo. Decisivo sarà invece ciò che accadrà nel prosieguo dei negoziati con l’Iran. Se saltano, Obama avrà fallito e molte cose diventeranno possibili”.

Quanto dureranno i raid Usa?

“E’ un dato imprevedibile. In assenza di novità, anche molti mesi. Ma viviamo una fase estremamente dinamica. E gli occhi di Washington non sono puntati solo sul Medio Oriente. L’America ha interessi globali e lotta per mantenersi alla testa del mondo”.

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