La procura di Forlì potrebbe sentire i tre medici molto presto. Loro intanto respingono la ricostruzione degli ultimi giorni sui giornali. E respingono l’ipotesi di un complotto per far fuori dal Giro d’Italia di 15 anni fa Marco Pantani. Eugenio Sala, Michelarcangelo Partenope e Mario Spinelli erano i sanitari, allora in servizio all’ospedale Sant’Anna di Como, che il 5 giugno 1999 bussarono alla porta d’albergo dove soggiornava la maglia rosa in carica. Due di loro ora raccontano come andò quel prelievo di sangue, fatto per conto dell’Unione ciclistica internazionale e che costrinse il Pirata a lasciare la corsa a due tappe dalla vittoria: “Lo strumento usato per l’analisi del campione era quello richiesto dall’Uci, un analizzatore che esegue l’esame ‘emocromocitometrico’ – hanno spiegato Sala e Partenope alla Provincia di Como – La sera prima il test fatto da Pantani dava un esito diverso? Lui utilizzò una microcentrifuga: misura l’ematocrito, ma può essere in parte diverso. Portammo il referto finale con l’esito al direttore sportivo Giuseppe Martinelli e al medico sociale Roberto Rempi, il valore era al di sopra del consentito e le norme imponevano lo stop all’atleta”. 

L’apparecchio a cui si riferiscono i due medici di Como è un Coulter Act 8 e di questa macchina avevano già parlato ai magistrati di Trento, il pubblico ministero Bruno Giardina e il giudice monocratico Giuseppe Serao, che nell’ottobre 2003 aveva assolto Pantani dall’accusa di frode sportiva. Ma ora i dottori si sentono chiamati in causa di nuovo. Il procuratore capo di Forlì Sergio Sottani e il sostituto Lucia Spirito da settimane stanno indagando sulla pista che si basa principalmente sulle rivelazioni di Renato Vallanzasca, il pluri-ergastolano che, secondo quanto racconta, pochi giorni prima della squalifica di Pantani fu avvicinato in carcere da un altro detenuto. Quest’ultimo, vicino al mondo delle scommesse clandestine e alla camorra, gli avrebbe rivelato che il Pirata non avrebbe vinto sicuramente la corsa e che su questo ci avrebbe potuto puntare dei soldi. Insomma l’ipotesi a cui lavorano i magistrati di Forlì è che dietro quegli esami dell’ematocrito “fuori legge” ci sarebbe stato un piano della criminalità che gestiva il mercato delle scommesse clandestine, affinché il Pirata non vincesse quell’edizione del Giro. 

 “Già all’epoca – hanno spiegato i medici di Como che fecero quei prelievi – il pomeriggio stesso i carabinieri mandati dalla procura di Trento arrivarono in elicottero al vecchio Sant’Anna e sequestrarono l’apparecchio che avevamo utilizzato. Siamo stati indagati per truffa aggravata, poi la perizia fatta a Parma confermò la bontà e la correttezza del nostro lavoro. Venne eseguito anche il test del Dna e dimostrò che quel sangue era davvero di Pantani”. I medici spiegano anche come nascevano quel tipo di esami: “Innanzitutto non si trattava di esami antidoping, ma di controlli a tutela della salute degli atleti, stabiliti dall’Unione ciclistica”, hanno detto Sala e Partenope al giornale di Como. “Quella mattina entrammo nella stanza di Pantani e prelevammo 2,7 cc di sangue. La provetta venne messa nella borsa che si usava per i campioni, come stabilivano le regole. Mente chi dice che fu trasportata nella tasca della giacca, è una cosa che non faremmo nemmeno per la provetta di un familiare”. Infine i medici difendono la loro professionalità: “Abbiamo fatto analisi al Giro, al Tour de France, alla Vuelta, ai campionati mondiali, tutto in virtù di una convenzione tra l’Unione ciclistica e il Sant’Anna. Non solo: nel 1999 la nostra equipe aveva già fatto l’esame a Pantani alla partenza, ad Agrigento, poi una seconda volta a metà del Giro”. 

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