Nelle ultime settimane pare che l’Europa abbia perso la pazienza per l’atteggiamento del governo di Netanyahu verso le trattative di pace. La Svezia ha annunciato che riconoscerà lo Stato palestinese una volta proclamato o fondato. Anche l’Inghilterra ha dimostrato un’apertura simile. Ma la risposta di Netanyahu nelle ultime settimane – settimane che avrebbero dovuto essere di trattativa per una soluzione duratura del ciclico conflitto armato fra Israele e Hamas – è stata sorprendente. Agli svedesi Netanyahu ha risposto che la loro posizione ostacola il processo di pace (quale processo e quale trattativa?). Dopo un incontro con Obama ha addirittura affermato che il presidente americano non conosce bene la materia e parla non basandosi su informazioni valide. Non si è dimostrato molto comprensivo nemmeno verso l’apertura britannica, definita un “ostacolo alla pace”.

Mi ha molto colpito cioè che Netanyahu ha detto in settembre nel suo intervento alle Nazioni Unite. In quell’occasione importante il premier israeliano ha affermato che: “Hamas e Isis sono la stessa cosa”. Una dichiarazione che confonde molto i cittadini israeliani. Il governo Netanyahu sta trattando con Hamas proprio in questi mesi – così come in passato – per arrivare a un cessate-del-fuoco o a una convivenza non bellica, almeno per qualche anno. E se gli assassini del califfato e Hamas che governa Gaza sono la stessa cosa, allora non si deve trattare né con l’uno né con l’altro.

L’atteggiamento impaziente dell’Europa meglio si spiega se lo si concepisce come la volontà e l’impegno di rafforzare Abu Mazen, l’Autorità Palestinese e le altre forze moderate della regione (la stessa lettura è valida anche per gli oltre 5 miliardi stanziati da diverse nazioni per la ricostruzione di Gaza dopo l’ultima estate). Invece di imputare agli amici europei e americani dello stato ebraico l’incomprensione per il modo in cui si dovrebbe risolvere il conflitto israeliano-palestinese, sarebbe meglio una dichiarazione da parte del governo israeliano di quali sono i confini definitivi di Israele. Questo permetterebbe di affrontare la vera minaccia per il futuro del Medio Oriente rappresentata dal cosiddetto “califfato”.

In Israele si sta svolgendo una grande protesta per il caro vita e il prezzo altissimo delle case. Le giovani coppie dicono ad alta voce che le case in un paese esposto agli attacchi missilistici non possono costare più che a Berlino, e non hanno tutti i torti. Un vero tentativo del governo israeliano di pacificare i rapporti con i palestinesi può dare speranza a chi protesta. Accusare l’Europa e addirittura Barack Obama di non comprendere la situazione mediorientale porta solo all’isolamento e a una profonda crisi economica.

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