E’ il primo senatore che lascia Angelino Alfano e torna con Silvio Berlusconi. Antonio D’Alì è nuovamente in Forza Italia. La decisione è stata presa quando domenica pomeriggio il ras della provincia di Trapani – tra i fondatori di Fi, figlio di facoltosi latifondisti e banchieri (il nonno Giulio fu presidente dal 1895 al 1933 della Banca Sicula) e, soprattutto, ex sottosegretario all’Interno nel secondo e nel terzo governo Berlusconi – si presenta ad Arcore e bussa alla porta dell’ex presidente del Consiglio. Presente lo stato maggiore di Piazza San Lorenzo in Lucina e soprattutto il regista dell’operazione: Denis Verdini. “Presidente, sono Antonio – si sarebbe rivolto così a Berlusconi – Ho deciso: lascio il Ncd e torno in Forza Italia”. E ora il patrimonio della maggioranza al Senato di Renzi, già traballante, potrebbe assottigliarsi.

Da giorni il parlamentare trapanese, che in occasione della decadenza di Berlusconi seguì Alfano e gli alfaniani nel Nuovo Centrodestra, covava l’ipotesi di tornare all’ovile, di tornare da colui che lo candidò nonostante fosse sotto processo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Nel 2013, infatti, la commissione del Pdl che aveva formato le liste e scartato i potentissimi Nicola Cosentino e Marcello Dell’Utri, decise di inserire ugualmente il nome del ras trapanese nelle liste di Palazzo Madama, ritenendo “inconsistenti” le accuse contro D’Alì. Accuse che si scontrarono con l’assoluzione dell’1 ottobre dello scorso anno in quella che venne definita una “assoluzione alla Andreotti”. Perché per i fatti fino al 1994 il senatore si è servito della prescrizione, segno che il gup del tribunale non ha ritenuto D’Alì del tutto estraneo alle contestazioni. Eppoi, riferiscono a ilfattoquotidiano.it, “oltre alla riconoscenza nei confronti del Cavaliere, che lo difese prima ancora dell’assoluzione, da tempo D’Alì era in attesa di un incarico…”. Un incarico che non è mai arrivato e avrebbe fatto indispettire il potente senatore accelerando l’abbandono dell’Ncd.

D’Alì, rampollo di una famiglia imprenditoriale proprietaria di saline, navi commerciali, ampi latifondi e della Banca Sicula di Trapani, si laurea in giurisprudenza all’università La Sapienza. Una laurea che gli consente di gestire agilmente le immense proprietà e che lo aiuta quando diviene amministratore delegato della banca di famiglia. Molto fine nei modi, sempre elegante (indossa degli invidiabili abiti Caraceni), mai una battuta fuori posto, D’Alì è addentro ai salotti buoni della città di Trapani al punto che in tanti alla fine degli anni Ottanta gli prefigurano “una carriera da politico”.

Ed ecco il 1994, l’anno della discesa in campo di Berlusconi. D’Alì non perde l’occasione, coglie l’attimo e cavalca l’onda berlusconiana. Eletto nel collegio di Trapani a Palazzo Madama, da quel momento “il Verdini di Sicilia” – lo chiamano così alcuni parlamentari – non si fermerà. Un’escalation che lo porterà per ben due volte a rivestire incarichi di governo nel secondo e nel terzo esecutivo Berlusconi come sottosegretario all’Interno. Vicinissimo a Renato Schifani e al giro palermitano dell’ex presidente del Senato, fonti autorevoli raccontano che non abbia mai digerito l’attuale ministro dell’Interno Alfano. Infatti, nei giorni del feroce scontro tutto siciliano fra Alfano e Micciché, il senatore trapanese si schierò da una parte “più per antipatia che per altro”.

Ma l’uomo preferisce tenersi lontano dalle beghe di partito. Meglio occuparsi della gestione del potere nel territorio. E’ stato lui, infatti, nel 2005 il fautore della presenza a Trapani della Vuitton Cup. Una manifestazione sportiva che fece veleggiare il giro di affari intorno ai 100 milioni di euro e in cui gli “appalti vennero aggiudicati con la formula che poi divenne famosa, quella dei Grandi Eventi dei governi berlusconiani. E a inaugurare quei lavori fu il ministro Lunardi, quello che diceva che con la mafia “bisognava convivere”. Eppoi una serie di episodi giudiziari da cui venne sempre scagionato, si pensi all’accusa di aver preso voti da Cosa Nostra, ai rapporti con il super latitante Matteo Messina Denaro (il padre Francesco Messina Denaro fu il campiere dei terreni dei’Alì), o di avere cercato di danneggiare l’amministrazione giudiziaria di un’azienda confiscata, la “Calcestruzzi Ericina”, in cui di fatto ingaggiò un braccio di ferro con l’ex prefetto di Trapani Tullio Sodano.

Tutte vicende ormai dimenticate dal senatore trapanese. Che ormai guarda a Forza Italia. Con l’obiettivo, adesso, di fungere da pontiere fra la galassia berlusconiana e quella alfaniana. D’altronde, il Ncd soffre e non poco. L’accelerazione di D’Alì potrebbe innescare la fuga dal partito del ministro dell’Interno. Del resto, annota a fine serata un senatore forzista, “il passaggio di D’Alì prefigura la fuoriuscita di altri 5 senatori”. Sui nomi, però, le bocche restano cucite, anche se l’identikit corrisponde a questi profili: Antonio Azzollini, Giuseppe Esposito, Federica Chiavaroli, Laura Bianconi e Tonino Gentile”. Ma il vero pezzo da novanta si chiama Renato Schifani. Sempre più isolato e, secondo i ben informati, il vero regista dello strappo di D’Alì. 

Twitter: @GiuseppeFalci

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