I “punti Ben-Day” sono la sua firma, i fumetti il suo linguaggio. “Roy Lichtenstein Opera prima” è la mostra che celebra il caposcuola della Pop art. In esposizione alla GAM di Torino fino al 25 gennaio 235 opere dell’artista newyorkese, molte delle quali non erano mai uscite dalla sua casa e molte per la prima volta in Italia, grazie alla stretta collaborazione con l’Estate e la Roy Lichtenstein Foundation, oltre a importanti prestiti provenienti da prestigiosi musei internazionali come la National Gallery di Washington, il Museum of Modern Art e il Whitney Museum di New York, l’Art Institute di Chicago e da collezioni pubbliche e private europee e italiane.

Le 235 opere, che vanno dai primi anni Quaranta al 1997, sono per la maggior parte disegni, studi, bozzetti, collage che documentano il percorso di maturazione di Lichtenstein e gli sviluppi della sua ricerca e che, sala dopo sala, ne celebrano la potenza visiva e l’assoluto rigore intellettuale. L’esposizione torinese, curata dal direttore della GAM Danilo Eccher, presenta infatti la parte più intima e privata del lavoro dell’artista focalizzando l’attenzione sulle idee primigenie, fonte di ispirazione di opere che in un secondo tempo sono divenute quei grandi capolavori che tutto il mondo conosce. Insieme ai disegni sono in mostra anche alcuni dipinti e una documentazione fotografica in cui è ritratto l’artista al lavoro. A distanza di mezzo secolo dalla prima esposizione sulla Pop art americana in Europa, tenuta nel 1964 proprio nel capoluogo piemontese, uno straordinario tributo al maestro indiscusso di tale corrente artistica che nella seconda metà del XX secolo divenne espressione della società dei consumi e che maggiormente ha influito nell’arte contemporanea.

Forse il più raffinato tra gli interpreti pop, con la sua sofisticata tecnica di pittura, le sue puntate esplorative nel mondo dell’immaginario di massa, del kitsch, le “citazioni” da altri artisti, le sue opere si sono imposte come commenti e vere e proprie meditazioni sul significato dell’immagine nella nostra epoca. Sono gli anni Quaranta quando un giovane Roy Lichtenstein abbandona gli studi d’arte iniziati alla Ohio State University per arruolarsi come soldato ed è proprio nell’ambiente militare che nasce la prima ispirazione, quando un superiore a conoscenza delle sue doti artistiche gli chiede di riprodurre vignette tratte dai fumetti di guerra: uno stile che lo identificherà per il resto della vita. Ma la vera intuizione di Lichtenstein non è l’aver trasferito le immagini del fumetto nella pittura, prima di lui altri artisti lo avevano fatto anche se nessuno era riuscito a dare una propria autonomia espressiva. La vera invenzione dell’artista americano è stata il falso “retino” tipografico (che ottiene applicando il colore attraverso griglie traforate) che dà l’impressione che ogni sua immagine sia l’ingrandimento fotografico di un’immagine stampata, di una riproduzione, quasi a suggerire che forse si vive più attraverso il filtro dell’immagine stampata che in prima persona. A quei punti approdò all’inizio degli anni Sessanta, quando aveva stipulato un contratto con la celebre galleria di Leo Castelli e in quei punti trovò quell’elemento stilistico che è divenuto sinonimo della sua arte. Una tecnica che deriva da Benjamin Day che intorno al 1878 escogitò un metodo per la colorazione dei disegni divenuto famoso come “Ben Day Rapid Shading Medium” per trovare gradazioni cromatiche tramite linee e strutture.

Il puntinato con i rossi, i gialli, gli azzurri prima nei fumetti poi nella riproposta di capolavori del passato dissacrati, volgarizzati e semplificati al pari della comunicazione pubblicitaria, era il suo antidoto alla retorica accademica. Icona della Pop art dunque che rivive in un percorso inedito nella sua vita e nelle sue opere allestito in modo cronologico e tematico, tra i Mickey Mouse, le tazze di caffè e i coni di gelato in bianco e nero, il primo piano della bella angosciata al telefono, le rovine di templi classici, le composizioni cubiste e surrealiste ironicamente reinventate e gli omaggi ai pesciolini rossi e ai nudi di Matisse.

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