Sono oltre sei milioni i boliviani chiamati a votare oggi il loro presidente della Repubblica. Grande favorito è l’attuale presidente Evo Morales, 54 anni, campesino e cocalero, senza alcuna formazione accademica, un passato da sindacalista e una certa tendenza a fare gaffes, che si avvia al suo terzo mandato consecutivo, se dovesse vincere. Nel panorama della sinistra latinoamericano, viene definito ‘chavista‘ nei discorsi, ‘lulista‘ nei fatti.

L’opposizione lo accusa di essere populista e un caudillo con l’aspirazione di rimanere per sempre al potere, cui è arrivato nel 2006, puntando tutta la sua politica di governo su un messaggio indigenista e antiamericano. Ma Morales ha dalla sua il buon andamento dell’economia del Paese, frutto anche dell’effetto positivo generato da quella che è stata una delle sue misure più eclatanti: la nazionalizzazione dell’industria degli idrocarburi a pochi mesi dal suo primo insediamento, in virtù della quale ha rinegoziato i contratti con le grandi aziende di estrazione di petrolio come la spagnola Repsol e la brasiliana Petrobras a condizioni più favorevoli per lo stato boliviano. Poco prima, con un’altra riforma, aveva aumentato le tasse sul gas naturale dal 18 per cento al 50 per cento. In questo modo gli introiti derivanti dal petrolio sono passati da 673 milioni di dollari nel 2005 a 5.855 milioni nel 2013.

Un flusso di denaro che ha consentito al governo di investire più risorse in programmi sociali e infrastutture pubbliche. Nello stesso periodo, il pil del Paese è triplicato, passando da 9.500 milioni di dollari a 30.381 milioni dollari e il pil pro capite è passato da 1.010 dollari a 2.757 dollari, e il salario minimo è passato da 72 a 206 dollari. La politica statalista di Morales, che si è concentrata anche sulle imprese di telecomunicazioni, impianti termoelettrici, fondi pensione, aeroporti e miniere, non ha però scoraggiato gli investimenti stranieri che sono aumentati. Il risultato è che la Bolivia, pur essendo uno dei paesi più poveri dell’America Latina, dove l’estrema povertà colpisce il 20 per cento degli oltre 10 milioni di abitanti, è anche l’economia che sta crescendo di più nella regione, con il 6,5 per cento nel 2014 secondo le stime.

Per questo suo terzo mandato, Morales, dato vincente con il 59% nei sondaggi, ha ben chiari gli obiettivi: vincere con il 74% dei voti, imporsi nei bastioni dell’opposizione, ampliare la maggioranza in Parlamento, fare della Bolivia una potenza energetica, puntare sul litio, riformare la giustizia, e investire in cultura ed istruzione. Alcuni dirigenti del suo partito non hanno nascosto il suo desiderio di cambiare la costituzione per poter essere rieletto in modo indefinito, come ha fatto l’ex presidente venezuelano Hugo Chavez.

Quattro gli sfidanti di Morales alle elezioni: l’imprenditore del cemento Samuel Doria Medina, l’ ex presidente Jorge “Tuto” Quiroga, l’ex sindaco di La Paz, nonché suo ex alleato Juan del Granado, e il lider indigeno amazzonico Fernando Vargas, che si dicono ottimisti e sperano in una “sorpresa alla brasiliana”, dove le proiezioni davano come vincitrice l’ambientalista Marina Silvia, che non è arrivata neanche al ballottaggio. Ma nonostante l’ottimismo di facciata, secondo gli analisti politici, l’opposizione, così divisa, rischia di arrivare frantumata, e di far ottenere al partito del presidente, il Movimento al socialismo, i due terzi dei voti che gli consentirebbero di controllare il Parlamento.

Alcune particolarità delle elezioni boliviane: nel Paese, dal venerdì prima al lunedì dopo il voto si osserva un ‘periodo di riflessione’ di 72 ore, in cui oltre ad essere vietato ai candidati di apparire sui mezzi di comunicazione e fare comizi, è proibito il consumo e la vendita di alcol, portare armi da fuoco e coltelli, organizzare feste e riunioni. Il giorno delle elezioni è inoltre vietato circolare in auto e viaggiare in aereo (a meno che non si tratti di voli internazionali) e in autostrade.

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