Alla fine, la condanna è arrivata solo per lui. Roberto Buzio è l’ultimo “cassiere” delle tangenti della Prima Repubblica. È stato per 15 anni il segretario di Giuseppe Saragat e poi, dopo la sua morte, ha continuato a lavorare per il Psdi, il Partito socialdemocratico italiano. Allo scoppio di Mani Pulite è scappato dall’Italia, per evitare l’arresto. Da allora vive in Alta Savoia, in Francia.

Nel marzo 2012 ha rilasciato a il Fatto Quotidiano un’intervista in cui ha rivelato episodi inediti di Tangentopoli di cui era stato protagonista. “Antonio Cariglia, ultimo presidente del Psdi, mi chiese di andare da alcuni imprenditori a raccogliere contributi per il partito. Tra questi, c’era anche Silvio Berlusconi, che fino al 1992 ha sostenuto i partiti della Prima Repubblica. Ho ricevuto diversi contributi di Berlusconi dalle mani di Gianni Letta. L’ultimo, a ridosso delle elezioni dell’aprile 1992. Lo andai a ritirare in un ufficio nel centro di Milano”.

Negli archivi di Mani Pulite c’è la traccia di una tangente pagata da Letta a Buzio: 70 milioni di lire, versati nel 1989. Anche Letta l’ha ammessa, in un interrogatorio all’allora pm della procura di Milano Antonio Di Pietro. Ma tutto è coperto dalla provvidenziale amnistia che arrivò quell’anno. “La storia però era diversa: intanto i milioni non erano 70, bensì 200”, ha raccontato Buzio al Fatto. “E poi rivelammo solo quella dazione, d’accordo con i nostri avvocati, perché sapevamo che era coperta dall’amnistia. Eppure i pagamenti continuarono fino al 1992. Erano parecchie centinaia di milioni. Non solo, nell’ambiente sapevamo che a riscuotere non era soltanto il Psdi: Berlusconi sosteneva tutto il pentapartito”.

Troppo tardi. L’avesse raccontata nel 1993, forse la storia italiana sarebbe andata diversamente. Forse ci saremmo risparmiati il ventennio berlusconiano. Invece Buzio si sfoga solo nel 2012, per protestare contro quelli che, a differenza di lui, sono passati indenni dalla Prima alla Seconda Repubblica. “Io andavo solo a prenderli, i soldi”, dice oggi più amareggiato che mai, “e ho dovuto scappare in Francia e diventare cittadino francese. Quelli che invece li usavano sono ancora lì”.

Fa i nomi di alcuni big del suo partito, il Psdi, che sono passati nel fronte berlusconiano. Carlo Vizzini, per esempio. “E Simona Vicari? Ce la siamo inventata io e Vizzini”. Oggi è sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico del governo di Matteo Renzi, in quota Ncd. “Ed Enrico Ferri? L’ho portato io al partito e l’ho presentato a Saragat. Divenne ministro e segretario del Psdi. Ora suo figlio, Cosimo, è sottosegretario alla Giustizia e siede a fianco dei carnefici di suo padre”.

La settimana scorsa, Buzio è stato condannato: per diffamazione, proprio per l’intervista concessa due anni fa al Fatto. Un anno di reclusione sostituito con due anni di libertà controllata, più il pagamento di 16 mila euro al querelante che lo ha portato in giudizio: Antonio Di Pietro, nei cui confronti Buzio aveva avuto parole dure, sostenendo, nell’intervista, che i pm di Mani Pulite agivano colpendo qualcuno e salvando altri. Si salvarono, in verità, quelli su cui non furono trovate prove. Tra questi Berlusconi e Letta, che la scamparono anche perché Buzio, “d’accordo con gli avvocati”, rivelò soltanto le tangenti coperte dall’amnistia.

Ora l’ultimo dei “cassieri” continua a raccontare quella che ritiene la sua verità nel suo sito web (“Dalla Francia con amore”, www.robertobuzio.fr). E ripete: “Cosa crede? Che non sarei potuto andare anch’io da Berlusconi, negli anni scorsi? Ora sarei deputato. Ma a me interessa ristabilire la verità storica. Lo farò, a ogni costo”.

Il Fatto Quotidiano, 9 ottobre 2014

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