Niente più carcere per i giornalisti ma chi diffama rischia multe da decine di migliaia di euro. E le testate web entrano nel mirino del ddl diffamazione approdato in aula al Senato per la discussione generale, a un anno dal via libera della Camera. Un testo che, tuttavia, è stato ampiamente modificato in Commissione Giustizia e che, come ha detto il senatore Maurizio Gasparri richia di essere il mostro di Loch Ness, “che compare, scompare e poi non se ne parla più”. Un timore fondato visto che già nella scorsa legislatura, ha ricordato, “trattammo a lungo questo tema senza giungere a conclusione”. E anche nella seduta di giovedì 9 ottobre la discussione è stata interrotta e rimandata a data da destinarsi.

Molte delle novità che si vorrebbero introdurre nel ddl riguardano le rettifiche sul web per le testate registrate. Chi si è sentito offeso da un articolo, oltre alla rettifica, può chiedere ai siti internet e ai motori di ricerca l’eliminazione dei contenuti diffamatori e dei dati personali. Non solo. Perché può anche “chiedere al giudice di ordinare la rimozione delle immagini e dei dati, ovvero di inibirne l’ulteriore diffusione”. Se l’interessato è ormai defunto “le facoltà e i diritti possono essere esercitati dagli eredi o dal convivente”.

La rettifica per le pubblicazioni online – blog esclusi, visto che si parla soltanto di testate registrate -, va fatta non oltre due giorni dal momento in cui è pervenuta la richiesta e si prevede anche l’interdizione di sei mesi per i direttori responsabili in caso di articoli diffamatori non firmati o in caso di mancata pubblicazione della rettifica. In questo caso, come scrive Repubblica, entra il giudice che “‘irroga la sanzione amministrativa‘, avverte il prefetto e l’ordine professionale, che sospende fino a sei mesi”. Certo, si elimina il carcere, ma si introducono pesanti pene pecuniarie. Se ad esempio il fatto attribuito è consapevolmente falso, la multa sale da 20 mila a 60 mila euro. 

Tra gli emendamenti rispunta anche il bavaglio per i blog, con i senatori di Nuovo Centrodestra Salvatore Torrisi e Nico D’Ascola che propongono addirittura di rendere responsabile il blogger – o peggio ancora semplicemente chi abbia registrato il nome a dominio utilizzato dal blogger – se non rimuove un commento postato da uno dei suoi utenti – magari con tanto di nome, cognome e indirizzo email – entro 24 ore.

Ecco cosa prevede punto per punto il ddl presentato in Senato:

Stop al carcere – Niente più carcere per chi diffama a mezzo stampa, ma esclusivamente una multa in caso di attribuzione di un fatto determinato che va dai 5 mila ai 10 mila euro. Se il fatto attribuito è consapevolmente falso, la multa sale da 20 mila a 60 mila euro. Inoltre, alla condanna è associata la pena della pubblicazione della sentenza. In caso di recidiva, vi sarà anche l’interdizione da uno a sei mesi dalla professione. La rettifica sarà valutata dal giudice come causa di non punibilità. Nella ddl rientrano ora anche le testate giornalistiche online e radiofoniche.

Risarcimento del danno – Nella diffamazione a mezzo stampa il danno sarà quantificato sulla base della diffusione della testata, della gravità dell’offesa e dell’effetto riparatorio della rettifica. L’azione civile dovrà essere esercitata entro due anni dalla pubblicazione.

Rettifica – Il direttore o, comunque, il responsabile deve: pubblicare gratuitamente senza commento, senza risposta e senza titolo, la rettifica menzionando espressamente titolo, data e autore dell’articolo; deve garantire che le rettifiche siano pubblicate non oltre due giorni dalla ricezione della richiesta con “la stessa metodologia, visibilità e rilevanza della notizia a cui si riferiscono in modo da rendere evidente l’avvenuta modifica” come precisa il testo modificato al Senato.

Un’altra modifica prevede che nel caso di testate giornalistiche online, che forniscono un servizio personalizzato, le dichiarazioni o le rettifiche sono inviate agli utenti che hanno avuto accesso alla notizia cui si riferiscono. Nel testo modificato si stabilisce inoltre che nel caso in cui non sia possibile la ristampa o una nuova diffusione del periodico o la pubblicazione sul sito internet, la pubblicazione in rettifica deve esser fatta su un quotidiano a diffusione nazionale. Il testo esenta dall’obbligo di pubblicare una rettifica “quando essa sia documentalmente falsa”.

Diritto all’oblio – Fermo restando il diritto di ottenere la rettifica o l’aggiornamento delle informazioni contenute nell’articolo ritenuto lesivo dei propri diritti, l’interessato può chiedere ai siti internet e ai motori di ricerca l’eliminazione dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione della legge sulla diffamazione. L’interessato, si legge nella norma modificata dal Senato, in caso di omessa cancellazione dei dati può chiedere al giudice di intervenire per ottenere quello che la Corte europea, con una sentenza del 13 maggio 2014, definisce il ‘diritto all’oblio’ per il diffamato. In caso di morte dell’interessato, i suoi diritti potranno essere esercitati dagli eredi o dal convivente.

Responsabilità del direttore – Fuori dei casi di concorso con l’autore del servizio, il direttore o il suo vice rispondono non più ‘a titolo di colpa’ ma solo se vi è un nesso di causalità tra omesso controllo e diffamazione, la pena è in ogni caso ridotta di un terzo. È comunque esclusa per il direttore al quale sia addebitabile l’omessa vigilanza l’interdizione dalla professione di giornalista. Le funzioni di vigilanza possono essere delegate, ma in forma scritta, a un giornalista professionista idoneo a svolgere tali funzioni.

Querele infondate – In caso di querela temeraria, il querelante può essere condannato al pagamento di una somma da mille a 10mila euro in favore delle casse delle ammende.

Segreto professionale – Non solo il giornalista professionista, ma ora anche il pubblicista potrà opporre al giudice il segreto sulle proprie fonti.

Ingiuria e diffamazione – Anche per l’ingiuria e la diffamazione tra privati viene eliminato il carcere, ma aumenta la multa (fino a 5 mila euro per l’ingiuria e 10 mila per la diffamazione) che si applica anche alle offese arrecate in via telematica. La pena pecuniaria è aggravata se vi è attribuzione di un fatto determinato. Risulta abrogata l’ipotesi aggravata dell’offesa a un corpo politico, amministrativo o giudiziario.

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