Mosul e Kirkûk. E’ qui che si gioca il futuro dell’Iraq. Mosul antica capitale assira e centro di fecondi scambi commerciali e culturali  sul Tigri, ha anche una ricca storia petrolifera. Nel 1936, durante il regime mussoliniano, l’italiana Agip Petroli divenne socio della Mosul Oil Fields Company, concessionaria delle estrazioni a Mosul mentre nello stesso anno a Kirkûk la grande Iraq Petroleum Company sfruttava i giacimenti avendo un capitale sociale di oltre sei milioni e mezzo di sterline. Oggigiorno il petrolio di Kirkûk è difeso dai curdi che gli stessi americani e italiani hanno deciso di armare non solo per permettersi di difendere dall’Isis ma soprattutto per proteggere i ricchi giacimenti sotterranei

Allo stesso tempo il gruppo terroristico Isis, Daesh in arabo, è una minaccia troppo preziosa per essere distrutta dagli stessi americani. Rappresenta comunque il movente ideale per giustificare la destabilizzazione e lo smembramento dell’Iraq in modo da favorire gli interessi economici americani. In questo stato di caos quello che conta per gli Usa è di gestire la partita energetica dell’Iraq per arrivare a scegliere diverse opzioni di geopolitica energetica. Il sistema iracheno interessa soprattutto per due motivi: la rilevanza delle sue riserve accertate e probabili di petrolio, gas, e di produzione di gas petrolio liquido (gpl) e la potenziale elasticità della rete di trasporto, quest’ultima decisamente interessante. L’Iraq è la quinta riserva di greggio al mondo e il secondo produttore di greggio nell’Opec.   

La maggior parte delle sue esportazioni sono dirette agli Stati Uniti e alle raffinerie asiatiche. Secondo le stime dell’International Energy Agency, potrebbe raggiungere quasi 5.000 miliardi di dollari dall’esportazione di petrolio entro il 2035, ovvero una media di 200 miliardi di dollari l’anno. Quanto al gas, la modesta produzione attuale, potrebbe decuplicare nei prossimi anni sfruttando i giacimenti del Nord-Est. La rete degli oleodotti iracheni si caratterizza per l’orientamento diversificato dei suoi sbocchi. Il flusso di greggio può essere costantemente riorientato sia in funzione della domanda che dei rischi. Le nervature del sistema sono diverse. Il ramo nord serve soprattutto il giacimento gigante di Kirkûk, città considerata dai curdi come la vera “Gerusalemme” del Kurdistan, la culla della loro civiltà. Il petrolio di Kirkûk, oltre a poter essere indirizzato verso il Golfo, fluisce verso il Mediterraneo anche attraverso la pipeline nordoccidentale che passa per la Siria.

A seconda delle circostanze, il petrolio può essere dirottato dal Golfo al Mar Rosso tramite la linea strategica che raccorda Bassora all’oleodotto transarabico Yambû. Troppo importante la partita delle risorse energetiche per focalizzarsi solo sull’effetto di scala globale dei tagliagole inferociti dell’Isis. C’è bisogno di andare oltre la guerra mediatica contro il terrorismo e comprendere le effettive dinamiche di una guerra, quella energetica, cominciata diversi secoli fa.

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