È la Sampdoria di Sinisa Mihajlovic la terza forza di campionato. E il verdetto della quinta giornata potrebbe anche non essere una chimera d’inizio stagione, se le varie Inter, Milan, Napoli e Fiorentina dovessero continuare così. Grandi solo sulla carta, piccole sul campo: le milanesi deludono, dopo il buon avvio. I nerazzurri perdono addirittura 4-1 in casa contro il Cagliari di Zeman, che abbandona l’ultimo posto in classifica. I rossoneri di Inzaghi non vanno oltre l’1-1 a Cesena, come la Fiorentina a Torino. Il Napoli vince sì, ma non convince, salvato dalla traversa nel finale a Sassuolo. E così ne approfitta la Samp, che si aggiudica il derby della Lanterna contro il Genoa e vola in zona Champions League. In attesa dei posticipi del lunedì, e dell’Udinese di Stramaccioni che battendo il Parma potrebbe salire a 12 punti. Davanti a tutte, inarrivabili, Juventus e Roma, che continuano a vincere. Ma questa non è più una notizia. Domenica finalmente lo scontro diretto dirà qualcosa in più sul reale valore delle due squadre.

IL BUONO
Minuto 78 di Torino-Fiorentina. Bernardeschi appena entrato dipinge un assist filtrante, Babacar salta con una finta in velocità il portiere avversario e insacca in rete. Hanno 41 anni in due e firmano il gol del pareggio, merce rara di questi tempi per i viola, orfani di Giuseppe Rossi, Mario Gomez e ora anche Cuadrado. L’anno scorso dominavano in Serie B: 20 gol la punta senegalese, 12 (e tanti assist) il fantasista azzurro. La Fiorentina li ha mandati in prestito per crescere, ora li ha riportati alla base. Montella li coccola e li gestisce, ci punta veramente. E loro stanno dimostrando di meritare la fiducia e di poter essere protagonisti anche fra i grandi. È così che dovrebbe funzionare: la formula giusta per la rinascita del calcio italiano. O per il momento almeno della Fiorentina. Ventiquattro ore prima, nell’anticipo delle 18, la gemma di Mattia Destro contro il Verona. Un gol che si candida già ad essere il più bello della stagione, un’esultanza rabbiosa perché un talento di soli 23 anni e già affermato, troppo spesso viene messo in discussione dall’ambiente (e un po’ anche dalla società). L’abbraccio con Garcia, però, dimostra che almeno l’allenatore conosce bene il suo valore.

IL BRUTTO
E’ a dir poco da “horror” la prestazione casalinga dell’Inter, umiliata a San Siro dal Cagliari. Ogni volta che è chiamata a confermarsi, la squadra di Mazzarri sembra fare un passo indietro. Stavolta ha fatto anche peggio. Come a Palermo, i nerazzurri sono entrati in campo deconcentrati e hanno preso gol subito, complicandosi la vita. La prestazione di Nagatomo, che prima ha regalato il gol del vantaggio a Sau e poi si è fatto espellere rimediando ingenuamente due gialli in pochi minuti, è censurabile. Vidic continua ad essere a disagio nel calcio italiano, e comincia ad insinuare il dubbio di essere soltanto l’ennesimo vecchio campione venuto a svernare in Serie A. Vero che la sconfitta di ieri è dovuta anche ad episodi sfortunati, ma l’Inter si è sciolta troppo facilmente alla prima avversità. E la classifica piange: otto punti in cinque partite, con tre match in casa e un calendario agevole, sono decisamente pochi per la truppa di Mazzarri. Se non altro il tecnico livornese nel post-partita non ha cercato alibi, ammettendo le proprie responsabilità. Attribuire la disfatta all’arbitraggio (comunque discutibile in alcune decisioni chiave del match) sarebbe stato il peggior danno per la sua Inter. In coda, comincia a diventare seria la situazione del Sassuolo, ultimo a tre punti: Di Francesco ha a disposizione una rosa importante, Zaza in primis, la cui involuzione però è preoccupante. L’anno scorso fu esonerato ingiustamente a gennaio, a lungo andare il patron Squinzi potrebbe avere di nuovo la tentazione di cambiare. E stavolta, forse, non a torto.

IL CATTIVO
Cattivo non lo è più da anni. Tranne che sottoporta, dove non perdona mai. Carlos Tevez si è lasciato alle spalle la sua fama di bad-boy. Abbandonato dalla madre e orfano del padre ammazzato in una sparatoria, rimasto sfregiato in un incidente domestico da bambino. Cresciuto tra malaffare e criminalità in uno dei quartieri più pericolosi di Buenos Aires, salvato dal calcio. Anche da giocatore, però, Tevez si era portato dietro i segni della sua adolescenza turbolenta. In Argentina lo chiamavano “Brigante”, e da tempo non lo convocano più in nazionale (ufficialmente per scelta tecnica, in realtà perché malvisto dal gruppo). In Inghilterra ancora si ricordano i litigi furiosi al Manchester United con Alex Ferguson e al City con Roberto Mancini. Non proprio il prototipo del professionista integerrimo. Da quando è arrivato in Italia alla Juventus, però, è stato perfetto: sul campo, leader vero della squadra e non solo per i suoi numeri realizzativi; e anche fuori, dove non ha mai fatto parlare di sé. E quando segna, festeggia ricordando i quartieri poveri dell’Argentina: l’ultimo in ordine di tempo, sabato a Bergamo, è stato “El Congo“, rione di Martinez, cittadina nord di Buenos Aires. In precedenza anche “La Palito“, “Ciudad Oculta“, “La Maciel“, e ovviamente “Fuerte Apache“, il suo quartiere, a cui deve anche il soprannome. Tevez, forse, si è lasciato per sempre alle spalle i fantasmi del passato. Ma non dimentica le sue origini. In fondo, è il modo migliore per cambiare veramente.

 

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