Non basta una lettera in cui si anticipa di non avere nulla da riferire ai giudici per evitare di deporre ad un processo. Anche se il processo è quello sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra, e la lettera è firmata dal presidente della Repubblica in persona. È per questo motivo che Giorgio Napolitano dovrà comunque giurare di dire tutta la verità e testimoniare davanti alla corte d’Assise che sta processando politici, boss mafiosi e alti ufficiali dei carabinieri.

“La Corte ha già ritenuto che la testimonianza del capo dello Stato, oltre che ammissibile appare né superflua né irrilevante” scrive il presidente Alfredo Montalto nell’ordinanza con cui ha ammesso la testimonianza del capo dello Stato. “La superfluità o irrilevanza – continua il giudice – di una prova testimoniale deve essere valutata dal giudice esclusivamente in relazione ai fatti oggetto dell’articolato e alla sua riferibilità al teste indicato e non già in relazione a o in previsione di ciò che il teste medesimo può sapere o non sapere”. Il riferimento è proprio per la missiva inviata dal Quirinale alla corte d’Assise palermitana il 31 ottobre 2013. “Per quel che riguarda il passaggio della lettera del consigliere D’Ambrosio cui fa riferimento la richiesta di mia testimonianza ammessa dalla Corte, non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo” scriveva Napolitano ai giudici quasi un anno fa.

I pm avevano chiesto di sentirlo come teste in relazione ad un’altra missiva, questa volta scritta da Loris D’Ambrosio e indirizzata proprio al capo dello Stato. Il 18 giugno del 2012, poco dopo la chiusura delle indagini sulla Trattativa e il deposito delle intercettazioni tra Nicola Mancino (oggi imputato per falsa testimonianza) e lo stesso consulente giuridico del Colle, infatti, D’Ambrosio prese carta e penna per esporre al presidente i suoi dubbi sulle possibilità di essere stato “utile scriba di indicibili accordi” tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, ai tempi in cui lavorava all’Alto Commissariato Antimafia.

I pm vorrebbero dunque chiedere al capo dello Stato particolari ulteriori su quella singolare condizione di apprensione manifestata da D’Ambrosio, che nel frattempo è deceduto. Napolitano, però, dopo aver già sollevato nel luglio 2012 il conflitto d’attribuzione davanti la Consulta contro la procura, ottenendo la distruzione delle quattro intercettazioni in cui colloquiava con Mancino, nell’ottobre scorso manifestò alla corte di non avere “nulla da riferire” su quella missiva ricevuta da D’Ambrosio, chiedendo ai giudici di “valutare nel corso del dibattimento, il reale contributo che le mie dichiarazioni, sulle circostanze in relazione alle quali è stata ammessa la testimonianza, potrebbero effettivamente arrecare all’accertamento processuale in corso”.

In pratica il Colle chiedeva di cancellare la deposizione chiesta dai pm e già accordata dai giudici. La medesima richiesta era arrivata in aula, durante il dibattimento, sia dall’Avvocatura dello Stato che dai legali di Marcello Dell’Utri: è per questo che il 17 novembre 2013 Montalto annunciava la decisione di riservarsi sulla possibile testimonianza di Napolitano. Riserva che ha sciolto un anno dopo: Napolitano deve essere sentito dato che “non si può di certo escludere il diritto di ciascuna parte di chiamare e interrogare un testimone su fatti rilevanti per il processo sol perché quel testimone abbia, in ipotesi anche e persino, in una precedente deposizione testimoniale, escluso di essere informato dei fatti medesimi”.

L’ordinanza della corte, in pratica, mette nero su bianco come non possa bastare una semplice missiva autografa (ma in alternativa anche una dichiarazione formale) in cui si annuncia di non avere nulla da riferire in aula per sottrarsi alla deposizione. “Sia – spiega Montalto – perché il suo contenuto rappresentativo non è utilizzabile nel processo in assenza di accordo acquisitivo della stessa. Sia, soprattutto ed in ogni caso, perché, come si é già detto in premessa, ove anche si volesse prendere atto del diniego di conoscenze già espresso dal teste, ciò nonostante, non potrebbe di per se solo ritenersi che sia venuto meno l’interesse della parte richiedente ad assumere la testimonianza”.

È per questo motivo che nonostante la missiva di un anno fa, Napolitano testimonierà comunque al processo sulla Trattativa. “Non ho alcuna difficoltà a rendere al più presto testimonianza, secondo modalità da definire, sulle circostanze oggetto del capitolo di prova ammesso” ha dichiarato il Presidente che sarà dunque sentito al Quirinale, dopo aver concordato una data utile. In mancanza di leggi che disciplinano un caso simile, Montalto ha fatto cenno all’articolo 502 del codice di procedura penale: l’audizione del capo dello Stato sarà dunque preclusa al pubblico e agli imputati, questi ultimi rappresentati soltanto dai legali. Sempre secondo la norma citata da Montalto, però, basterebbe che anche uno solo degli imputati faccesse richiesta di assistere all’udienza e il giudice non potrebbe opporsi: gli imputati detenuti sarebbero collegati come sempre in video, mentre quelli a piede libero potrebbero accedere direttamente in aula. Che questa volta dal bunker dell’Ucciardone di Palermo si sposterà direttamente sul Colle più alto di Roma.

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