La seconda giornata aveva posto delle domande, la terza ha dato le risposte: sì, in testa alla classifica è già una corsa a due tra Juventus e Roma. No, le milanesi non sono ancora pronte per inserirsi nella lotta al vertice. L’Inter si complica la vita da sola e non riesce a venire a capo della trasferta di Palermo, il Milan rinuncia anche solo a sfidare i campioni d’Italia in carica, pur giocando in casa. E così al secondo posto si inserisce il piccolo Hellas Verona, sempre più grande con la forza delle idee di una società che continua a costruire con lungimiranza. Bene l’Udinese, a quota sei nonostante lo scetticismo su Stramaccioni. Avanti anche il Parma, trascinato da Cassano, e la Fiorentina che si sblocca (ma continua l’astinenza di Mario Gomez). Passo falso per la Lazio, sprecona a Marassi. E malissimo il Napoli, al secondo stop consecutivo: senza il gol di De Guzman al 90’ contro il Genoa, ora i partenopei sarebbero ultimi in classifica. Dove si trova, invece, il Torino, che rimpiange amaramente le cessioni di Immobile e Cerci: dal ritorno in Europa all’ultimo posto in campionato, evidentemente, il passo può essere brevissimo.

Il buonoAlessandro Florenzi è un ragazzo dal cuore d’oro. Ormai è uno dei centrocampisti migliori della Serie A, nel giro della nazionale, affermato da anni. Ma continua a giocare con l’entusiasmo del ragazzino al debutto nella squadra del cuore. Nel 2012, alla prima stagione in Serie A con la Roma, prendeva 30mila euro. Il contratto gli è stato rinnovato fino al 2016, ma lo stipendio resta uno dei più bassi della rosa: 600mila euro l’anno, meno di Emanuelson o del terzo portiere Lobont. Lui non dice una parola, corre, dà tutto. E quando segna, scavalca le transenne della curva per andare ad abbracciare la nonna di 82 anni, che per la prima volta è venuta a vederlo allo stadio. Anche nel calcio moderno dei vizi e dei miliardi è ancora possibile emozionarsi. E regalare emozioni. Le stesse che avrà provato anche Massimo Coda. Gli appassionati delle divisioni minori se lo ricordano: punta di stazza e prospettiva quando giocava nelle giovanili del Bologna, ha girovagato per la Lega Pro senza mai riuscire a sfondare. Qualche buona stagione a Cremona e San Marino, poi la partenza alla volta della Slovenia: col Nuova Gorica ha segnato 18 gol in 33 partite, una buona media, ma alla periferia del calcio che conta. È tornato al Parma per ripartire, è rimasto un po’ per caso e un po’ perché nessuno lo ha cercato. Il calciomercato al risparmio di Ghirardi e i tanti infortuni (da ultimo il problema cardiaco di Biabiany) lo hanno catapultato dai margini della rosa al campo. E lui, alle porte dei 27 anni, è diventato protagonista in Serie A: l’esordio a Cesena, l’ingresso contro il Milan, oggi il primo gol in carriera, decisivo nella vittoria scaccia-crisi contro il Chievo Verona. Miracoli del calcio, che dà una chance a tutti. Anche a chi non è un predestinato. 

Il brutto – All’estero, in Spagna o in Inghilterra, quando due grandi squadre si incontrano regalano quasi sempre emozioni. Si gioca per vincere, e la formazione sulla carta più debole non parte mai battuta, specie se padrona di casa. Non è successo sabato sera in Milan-Juventus, partita che i rossoneri aspettavano con entusiasmo, e che invece ha deluso profondamente. Non tanto per il risultato, quanto per quello che si è visto in campo. Un conto è riconoscere la superiorità (ancora netta, nel caso della Juventus) degli avversari. Un’altra cosa è rinunciare a qualsiasi tipo di schema offensivo, avere il solo scopo di difendersi e poi, eventualmente, ripartire. Delle due, Inzaghi (tanto celebrato nelle scorse settimane) ha fatto la seconda. E ha trasformato il big match di quest’inizio campionato nel più classico dei testa-coda. In cui alla fine, dopo novanta minuti scialbi, ha prevalso la più forte. Non un gran bello spot per il calcio italiano. Come non è stato molto divertente il pomeriggio domenicale della Serie A: alle 15 il calendario prevedeva solo tre partite, per tre gol in totale (di cui 2 nei primi 10 minuti, e uno al novantesimo). In mezzo tanta noia e la tentazione di cambiare canale. Non sempre il “campionato spezzatino” è sinonimo di spettacolo, anche per le pay-tv.

Il cattivoNemanja Vidic è arrivato in Italia con la fama di essere uno dei migliori difensori al mondo. Doveva puntellare la difesa dell’Inter, far crescere i più giovani Ranocchia e Juan Jesus, diventare leader della squadra. Alla prima in campionato col Torino ha causato un rigore e rimediato un espulsione. Al rientro stasera dopo la squalifica, al terzo minuto ha regalato il gol agli avversari, compromettendo l’esito della partita. Tutti errori, piccoli o macroscopici, che un giocatore esperto come lui non dovrebbe concedersi: sbagliare è lecito, entrare in campo deconcentrati (a 32 anni e con uno stipendio di oltre tre milioni a stagione) molto meno. L’altro protagonista in negativo della giornata è Rafa Benitez, sempre più nella bufera a Napoli. L’ambiente è esplosivo, la tifoseria non ha digerito la campagna acquisti modesta e l’eliminazione dalla Champions, la squadra sembra in piena crisi di identità. In tutto questo l’allenatore ha una responsabilità parziale, fino a quando non comincia a sbagliare completamente la formazione: presentarsi a Udine senza Mertens e Hamsik, con l’oggetto misterioso Michu titolare e Zuniga tra gli attaccanti è stata quasi una provocazione. Il risultato gli ha dato torto. Le colpe sono anche altrove. Ma nel calcio il primo a pagare è sempre l’allenatore. E se De Laurentiis sta cercando un capro espiatorio, un “cattivo” da allontanare per giustificare il passo falso del suo progetto, potrebbe trovarlo presto nel tecnico spagnolo.

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