Poche righe e un debito da oltre 100 milioni finisce nelle bollette di tutti. È successo alla multinazionale dell’alluminio Alcoa, grazie a un emendamento Pd-Pdl del 2012 e un Dl del governo Monti il debito è stato cancellato, come sancito dal Tar nei giorni scorsi. Si tratta di un lato meno conosciuto della vicenda di Alcoa, il cui destino dagli anni ’90 fino all’amaro epilogo di agosto, con lo spegnimento dell’impianto di Portovesme già fermo dal 2012, è stato per anni legato agli sconti di Stato sull’energia.

Quando nel 1996 il colosso Usa acquistò gli impianti Alumix dal conglomerato pubblico Efim ottenne un prezzo dell’elettricità agevolato, confermato anche dopo la liberalizzazione del 1999 e prorogato dai governi di ogni colore, nel tentativo di rinviare la chiusura di impianti fuori mercato. Finché nel 2009 giunse (annunciata) la scure della Commissione Ue, che impose ad Alcoa di restituire gran parte dei sussidi incassati dal 2006 in poi (circa 300 milioni), che la società ha saldato quest’anno. Un contenzioso ha interessato a lungo anche i sussidi di cui la Ue non ha imposto la restituzione – quelli pre-2006-  e parte dei successivi. Dal 1999 il sussidio compensava la differenza tra il prezzo pagato per l’energia, al tempo pari al prezzo standard per i clienti industriali, e la vecchia tariffa scontata. Differenza coperta dal resto dei consumatori con le bollette.

Negli anni successivi, con l’apertura del settore alla concorrenza Alcoa ha potuto comprare sul mercato libero a prezzi inferiori a quello standard. La società ha però continuato a chiedere la restituzione della differenza tra quest’ultimo e la tariffa agevolata, godendo di un beneficio superiore al dovuto. Nel 2004 l’Autorità chiarì che alle industrie beneficiarie degli sconti (oltre ad Alcoa, anche le acciaierie di Terni) spettava solo la differenza tra quanto effettivamente pagato e il prezzo scontato. La delibera 148, inizialmente annullata dal Tar, fu confermata dal Consiglio di Stato nel 2011. Poco dopo, a febbraio 2012, l’Autorità intimava ad Alcoa di restituire tutti i sussidi in eccesso, saliti a oltre 115 milioni.

Partita chiusa? No, perché due mesi grazie a un emendamento bipartisan alla conversione del Dl fiscale 16/12, seguito a giugno da una norma del Dl 83/12, il debito resta a carico delle bollette. “Dalla lettura delle due disposizioni si evince come il legislatore abbia inteso neutralizzare gli effetti della delibera 148, la quale a seguito della sentenza del Consiglio di Stato aveva riacquistato efficacia”, si legge in una sentenza del Tar Lombardia del 2 settembre scorso. Che dichiara non più dovuti 78 milioni erogati tra il 2007 e il 2009. Un condono che non è servito a rinviare la dipartita di Alcoa: di lì a poco la società ha comunque fermato Portovesme.

I firmatari dell’emendamento sono l’attuale vicepresidente della Camera Marina Sereni (Pd) e Stefano Saglia (Pdl), già sottosegretario allo Sviluppo. Lasciato il Parlamento nel 2013 Saglia – da poco consigliere di Terna – è entrato nel Senior Council della società di lobby Strategic Advice, di cui nel 2012 Alcoa era cliente. “Lo scopo era non aggravare le difficoltà di Alcoa e Terni e tutelare i lavoratori”, replica al Fatto Sereni. “Nella relazione – aggiunge – non si faceva cenno a una vanificazione” di obblighi. “Saglia è entrato in Strategic Advice nel rispetto delle norme sul conflitto di interessi”, rimarca l’amministratore Gabriele Crieco. Al tempo della norma “non era membro e la firmò per portare chiarezza su una questione confusa e contraddittoria”.

Alcoa ribadisce: “Ci siamo opposti fin dal 2005 all’interpretazione del regime agevolato” che aveva portato alla richiesta di restituzione. ”Il 2 settembre il Tar si è pronunciato a favore di Alcoa (…) in ottemperanza alla legge del 2012”. Cioè la legge cambiata a favore.

Dal Fatto quotidiano del 17 settembre 2014

Articolo Precedente

Debiti pa, l’ex ministro Passera fa i conti in tasca a Renzi e lo consiglia

next
Articolo Successivo

Aedes, Giuseppe Roveda e il salvataggio da brivido dell’immobiliare

next