In principio fu un cimento del giornalista e futuro creatore del Tour de France, Henry Desgrange che nel 1893 fece nascere l’idea di misurarsi sull’ora di pedalata. Desgrange superò di poco i 35 km di media in sessanta minuti ma da allora la progressione in termini di prestazioni e di prestigio portò il record dell’ora alla fama di cui gode oggi. Forse il record dei record ma comunque quello sforzo che porta ai limiti la prestazione umana su una bicicletta. Fra i detentori si ricordano: Petit Breton, Giuseppe Olmo, Coppi, Anquetil, Ercole Baldini, Riviere e Merkcx prima dell’era dei record su bici speciali, poi rivista e catalogata come “migliore prestazione umana sull’ora” che mise i campioni del pedale nelle condizioni di far segnare medie da capogiro (dai 51 km di Moser agli oltre 56 di Boardman).

Eddy Merckx disse che il record dell’ora fosse stata la fatica più terribile della sua vita. Il “cannibale” sfidò l’ora nel 1972, al termine di una stagione su strada impegnativa e plurivittoriosa (50 successi) e senza una preparazione specifica. Il 25 ottobre il campione belga, si presentò sulla pista in legno del velodromo di Città del Messico e sulla Mexico Oro, forgiata da Colnago, frantumò il precedente record di Ole Ritter spostando il limite a 49,431 km. Una preparazione sommaria e una bici “normale” che, guardandola oggi fa sorridere, non impedirono a Merckx di far registrare un record che, di fatto, è stato battuto, di pochissimo, solo nel 2000 da Boardman. Eddy Merckx allora aveva 27 anni, era nel pieno della forma ed è noto a tutti che il belga sia stato il più forte corridore che il ciclismo abbia mai conosciuto. E’ normale che il nome di Merckx entrasse nella storia del record dell’ora quanto lo stesso record in quella di Eddy. In questa storia, piena di campioni, cronoman e specialisti della pista adesso entra un ragazzone normale che, con i suoi 43 anni appena compiuti voleva regalarsi un addio al mondo del ciclismo col botto.

 Jens Voigt è un corridore nato a Grevesmühlen il 17 settembre del 1971, allora Repubblica Democratica Tedesca. Diciassette oneste stagioni da professionista, con le sue doti da “passistone”, sempre messe al servizio di questo o quel capitano. Le sue caratteristiche gli hanno comunque permesso di togliersi molti sfizi e i 66 successi in carriera con tappe al Tour e al Giro, son un buon palmares. Una vita in gruppo ma un’altra ugualmente impegnativa e “di gruppo” lo attende a casa, a Berlino, dove la moglie Stephanie e 6 figli aspettano che papà Jens appenda la bici al chiodo. Sembrerebbe il tramonto ideale per uno che come corridore ha sempre mostrato combattività e grinta e forse con questo spirito Jens Voigt ha chiesto a Stephanie e ai figli Marc, Julian, Adriana, Kim, Maya e Helen quasi un’ultima sigaretta prima di smettere. Un’ultima ora d’aria necessaria per chi ha pedalato con il vento in faccia per circa 850mila chilometri e sognava che gli ultimi 50 fossero solo per lui, indimenticabili.

In carriera era uno che preferiva andare in fuga, lasciarsi il gruppo alle spalle e faticare da solo, per 1533 chilometri ha fatto l’evaso solitario. Un uomo, la sua bici e i suoi pensieri. Questo pensiero stupendo Jens lo ha portato sulla pista del Velodrome Suisse di Grenchen proprio il giorno dopo il suo 43˚compleanno e sulla sua bici normalissima ma di moderna concezione ha voluto che fossero incisi i nomi dei sei figli. Stavolta Jens non voleva pedalare da solo perché quell’ora era una delle più importanti della sua vita e Marc, Julian, Adriana, Kim, Maya, e Helen sono diventati i suoi unici capitani dal momento in cui ha sganciato la scarpa dalla pedivella della sua Trek. I titoli di coda per Jens Voigt sono durati un’ora e durante quei 51,115 chilometri avrà rivisto tutta la sua carriera, quasi tutta la sua vita. Certo, l’Unione Ciclistica Internazionale quest’anno ha cambiato le regole per rilanciare questa disciplina e da Voigt in poi per gli assalti al record potranno essere utilizzate tutte le biciclette che rispondono agli standard Uci per le prove di resistenza del ciclismo su pista. Modernizzazione senza esasperazione e dunque Voigt iscrive legittimamente il suo nome dopo quello di Ondrej Sosenka e attenderà felicemente con la sua grande famiglia, sul divano della sua casa berlinese, di vedere chi sarà il primo a sfidarlo. Credo che non dovrà aspettare tanto.

Articolo Precedente

Pellegrini: “Fossi la Kostner avrei mollato subito Schwazer. Doping? Tolleranza 0”

next
Articolo Successivo

Mondiale volley femminile 2014 in Italia. Il ct Bonitta: “Squadra non sprechi energie”

next