Era stato imprigionato nel carcere francese di Grasse per mesi, senza un processo. Il 25 agosto 2010 il viareggino Daniele Franceschi, 36 anni, ne è uscito morto, in circostanze non chiare. Oggi, a quattro anni di distanza, la Francia dà il via al processo. Non più per il reato di cui si sarebbe macchiato – avrebbe usato una carta di credito falsa mentre era in vacanza – ma per far luce sul suo decesso. Sul banco degli imputati per homicide involontaire, l’omicidio colposo nel codice italiano, per il quale la Francia prevede fino a 5 anni, ci sono il medico del carcere Jean Paul Estrade e le due infermiere Françoise Boselli e Stephanie Colonna, queste ultime colpevoli, secondo alcuni detenuti, di aver ignorato per ore le richieste di aiuto di Franceschi e del suo compagno di cella. Da due giorni l’operaio viareggino accusava violenti dolori al torace. Tutti e tre sono stati rinviati a giudizio. Solo Colonna non si è presentata alla prima udienza, mercoledì, perché incinta. Alla sbarra c’è anche il direttore dell’ospedale di Grasse, Frédéric Limousy.

All’apertura del processo nella cittadina della Costa Azzurra celebre per i profumi c’era la mamma di Daniele, Cira Antignano. Con lei i familiari delle vittime della strage ferroviaria del 2009, per dare sostegno all’anziana, cui la Francia non ha risparmiato dolori, neanche dopo la morte del figlio, di cui fu informata tre giorni dopo. Alla prima autopsia, il 31 agosto 2010, che rivelò un infarto, non fu ammesso il medico di parte della famiglia Franceschi. E la salma non fu concessa all’Italia neanche per il funerale. I resti di Daniele tornarono a casa solo il 16 ottobre 2010. Senza organi, quelli che la mamma chiede ancora a distanza di quattro anni. Come ribadisce a conclusione della lettera che pochi giorni fa ha indirizzato al presidente del consiglio Renzi, a Federica Mogherini, ministro degli Esteri, al presidente della commissione giustizia in senato Luigi Manconi e a quello della Regione Toscana Enrico Rossi.

Durissimi i toni che usa la donna. “Il suo corpo – scrive Cira – mi è stato restituito dalle autorità francesi in avanzato stato di decomposizione e senza gli organi interni. Soprattutto senza una risposta, una spiegazione (…) Il 13 ottobre 2010 sono andata a manifestare davanti al carcere di Grasse, per mio figlio, con un lenzuolo bianco con su scritto: “Carcere assassino, me lo avete ammazzato due volte. Voglio giustizia”. La protesta non è però piaciuta ai vertici carcerari che hanno chiamato la polizia. Ho cercato di spiegare che volevo manifestare pacificamente ma loro mi hanno messo in ginocchio e mi hanno ammanettato. Uno con il tacco della scarpa me l’ha premuto contro il petto fino a rompermi tre costole”. Quel giorno Cira fu arrestata e portata in gendarmeria. Solo grazie all’intervento del console italiano a Nizza fu liberata e poté tornare in Italia.

La donna conclude denunciando il silenzio della politica: “Il 17 e 18 settembre prossimi si terrà presso il Tribunale francese di Grasse il processo per omicidio colposo a carico del medico del carcere e per due infermiere, ma ancora una volta, come in tutti questi anni, lo Stato e la Regione di cui Daniele era cittadino saranno assenti. Io stessa, in gravi difficoltà economiche, potrò partecipare al processo solo grazie al sostegno di Acad, Associazione contro gli abusi in divisa-Onlus, e il Comitato delle vittime della strage di Viareggio e del 29 Giugno. Vi pare giusto che ci sia qualcuno che svolge il vostro compito anche in questi termini?”.

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