Cinema

La Trattativa, Sabina Guzzanti si ispira al cinema di impegno civile di Petri

“La svolta nella scrittura è arrivata quando mi sono imbattuta in un cortometraggio di Elio Petri: Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli del 1970 - dice la regista e attrice della pellicola presentata a Venezia -. Da lì è venuta l’idea di dichiarare la messa in scena degli attori, per dichiarare il gesto d’impegno civile e per chiarire il punto di vista di chi narra”

di RQuotidiano

“La svolta nella scrittura è arrivata quando mi sono imbattuta in un cortometraggio di Elio Petri: Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli del 1970 (guarda il video). Il corto inizia con Gian Maria Volonté che dice: “Siamo un gruppo di lavoratori dello spettacolo, ci proponiamo attraverso l’uso del nostro specifico (il comportamento di attori, registi, tecnici), di ricostruire le tre versioni avallate dalla magistratura sul presunto suicidio dell’anarchico Pinelli. Da lì è venuta l’idea di dichiarare la messa in scena degli attori, per dichiarare il gesto d’impegno civile e per chiarire il punto di vista di chi narra”.

Basterebbero queste poche parole di Sabina Guzzanti per capire le coordinate di senso de La Trattativa, in uscita il 2 ottobre 2014 sugli schermi cinematografici italiani e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Petri, Volonté, la necessità morale di un cinema d’impegno civile che attraverso la messa in scena moltiplichi la comprensione di un fatto storico in modo che il confronto e la discussione tra gli spettatori avvenga su scala più ampia. Non ci si discosta molto da quando Elio Petri, autore di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) – premio Oscar come miglior film straniero nel 1971 -, affermava sul suo lavoro di cineasta e sulla funzione del mezzo cinematografico: “Il cinema non è per un’élite, ma per le masse. Parlare ad un’élite di intellettuali è come non parlare a nessuno. Non credo si possa fare una rivoluzione col cinema. Io credo in un processo dialettico che debba cominciare tra le grandi masse, attraverso i film e ogni altro mezzo possibile”.

Così se Petri era riuscito a costruire uno sguardo personalissimo sulle traiettorie di potere del nostro Paese, carico di metafore e simbolismi allo stesso tempo, immerso in una finzione scenica dove Volonté riusciva a trasformarsi in viscido funzionario di stato (Indagine…) poi in travolgente operaio massificato (La classe operaia va in paradiso, 1971), fino a il Presidente (Todo modo, 1976) che altri non era che il compunto leader Dc Aldo Moro, la Guzzanti, più di 40 anni dopo, ricalca il modello riuscito e strabiliante delle origini, anche se in Italia mai compreso fino in fondo: “Quindi su Petri ho messo la prima pietra ed è nata l’idea degli attori che raccontano la storia, recitano, montano le scene, si scambiano le parti”, ha spiegato la Guzzanti, “Questo meccanismo mi ha entusiasmato perché ha risolto tutte le difficoltà con cui mi ero scontrata per tanti mesi: non avere un protagonista, non avere buoni e cattivi, dover parlare di tanti episodi che si svolgono nell’arco di più di 20 anni”.

Il passaggio al “sistema Petri/Volonté” delinea oltretutto il lento discostarsi dalla forma “pura” del documentario che la Guzzanti aveva intrapreso con Viva Zapatero! (2005), sulla libertà d’informazione in Italia, e Draquila (2010), sull’emergenza del post terremoto de L’Aquila, senza avvicinarsi alle grandi ricostruzioni storiche finzionali d’impegno civile come, tra i più recenti e riusciti, Romanzo di una strage (2012) di Marco Tullio Giordana sulla strage di Piazza Fontana, e Diaz (2012) di Daniele Vicari sugli indelebili fatti del G8 di Genova. In fondo è proprio nei presupposti di ogni regista cinematografico quello di avvicinarsi a forza di tentativi al proprio modo di osservare e quindi rappresentare quello stralcio di realtà storica controversa e scandalosa che non si riesce a superare, digerire, archiviare in una sorta di versione giusta e pacificante.

Se si pensa al differente lavoro fatto dal capostipite del cinema d’impegno civile italiano, Francesco Rosi, tra Salvatore Giuliano (1962) e Il caso Mattei (1972), s’intuisce la febbrile necessità dell’autore spesso divorato o ossessionato dall’oggetto della sua analisi (si veda a tal proposito Franco Maresco per Belluscone – Una storia siciliana), fino a mutare strumenti e mezzi, modalità di messa in scena, senza mai perdere di vista il proprio obiettivo: “La questione non è quella di mandare in galera qualcuno”, afferma Guzzanti, “ma capire e arrivare a una storia condivisa del nostro passato per potere finalmente voltare pagina”.

Il trailer de La Trattativa

In collaborazione con BIM

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