Parliamo dei dipendenti pubblici. Molti lettori mi hanno accusato: lei incita a licenziare, vuole buttare famiglie intere per strada, non capisce che se licenziamo gli statali, l’economia peggiora e non migliora. Allora. Non mi batto per il gusto sadico di licenziare purchessia, ci mancherebbe. Mi batto per un principio molto più alto e che riguarda la democrazia nei suoi fondamenti: la licenziabilità. Del dipendente statale al pari di quello pubblico. Questa sarebbe democrazia. In realtà in Italia non è così, dipendente privato e dipendente pubblico non hanno le stesse difese, quest’ultimo può essere licenziato solo in casi eccezionali, estremi direi: omicidio del capoufficio e successivo stupro della di lui moglie così, per ulteriore sfregio. E naturalmente episodi più gravi di questo.

Dalla ministra Madia non una parola è uscita sull’argomento. Anche perché nel pubblico c’è una clamorosa zona grigia che nessun governo negli anni è riuscito a rischiarare (solo la Fornero all’epoca disse qualcosa di impegnativo sull’argomento). Il punto è questo: una delle ragioni più diffuse per cui l’imprenditore privato lascia a casa un dipendente, sono i conti dell’azienda che non vanno bene. Qui s’impone una prima riflessione, che riguarda le responsabilità dello stato (inteso come struttura sociale che comprende politica e magistratura). Compito dello stato è vigilare perchè gli imprenditori non licenzino surrettiziamente, con la scusa di conti in disordine che in realtà nascondono ben altro. E questo compito non è affatto semplice, non è facile trovare un punto di sintesi virtuosa tra esigenze così diverse, se non opposte. (È del tutto inutile sottolineare che gli imprenditori seri non si privano dei dipendenti che lavorano seriamente).

Adesso ribaltiamo la prospettiva e trasferiamo la ragione principale di licenziamento nel campo privato all’interno del campo statale. La domanda che ne sorge è una sola: come si fa stabilire che “i conti sono in disordine” se un ministero, un ente parco, insomma queste robe mesozoiche qui, non producono una mazza, non vendono nulla, non esportano alcunché? Come si fa a stabilire che un ministero dovrebbe dimagrire in termini di personale? È necessario trovare una chiave diversa, quindi, che non sia la produttività privata, decisamente più facile da riconoscere. E la chiave è compresa nella storia italiana, in quella storia che ci racconta come il mezzo secolo democristiano abbia gonfiato a dismisura quella burocrazia, ingozzandone furiosamente le fila di amici degli amici, di parenti, di cugini, di raccomandati dal prete del paese e chi più ne ha più ne metta. Un’eterna implosione.

Su queste basi, si dovrà costruire la licenziabilità del dipendente statale. Si dovrà selezionare entità per entità, valutandone innanzitutto l’utilità, per passare poi all’esame diretto e severo della produttività dei dipendenti. Per fare questo – una solenne guerra democratica e civile – è necessario prima di tutto che lo Stato, cioè l’azionista, ne abbia piena volontà. I governi che si sono succeduti non hanno dato segni di minima vitalità in questo senso, ci provò quello Monti con la tenace Fornero, che disse chiaramente agli statali: è finita la pacchia, salvo poi soccombere sotto i colpi dei superburocrati. Lo ricordo bene, perché ne facemmo una nostra piccola battaglia a Linkiesta. Su questo, Madia e Renzi non pervenuti.

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