Ciò che fa della responsabilità civile dei magistrati una faccenda spinosa è l’ignoranza e la voglia di intimidazione o di vendetta. Per questo Renzi & C si cimentano con il tema. Non perché ce ne sia bisogno, ma perché comprare consenso è l’inevitabile degenerazione della democrazia. La responsabilità dei magistrati esiste dal 1988 (legge 117). Prevede che lo Stato deve risarcire i danni provocati dai magistrati nell’esercizio delle loro funzioni in alcuni casi specifici.

1) Affermazione di un fatto inesistente negli atti: Tizio è condannato per rapina perché Caio lo ha riconosciuto; non è vero, Caio non l’ha mai riconosciuto oppure addirittura non esiste un testimone Caio.

2) Negazione di un fatto esistente negli atti: Tizio è assolto perché nessuno lo ha riconosciuto; non è vero, Caio lo ha riconosciuto.

3) Provvedimento sulla libertà personale fuori dei casi consentiti dalla legge o privo di motivazione: arresto per guida senza patente, non consentito dalla legge; oppure arresto per rapina senza spiegare quali sono le prove.

4) Grave violazione di legge: perquisizione presso lo studio di un avvocato senza dare prima l’avviso al presidente dell’Ordine degli avvocati.

Naturalmente sono solo esempi; ognuno si può divertire a immaginarne decine.

La nuova legge prevederà le stesse cose: manifesto errore nella valutazione dei fatti e delle prove, nel che si riassumono i punti 1 e 2; e violazione manifesta delle norme applicate, nel che si riassume il punto 3. Nelle norme si chiarisce che rientrano anche quelle comunitarie: precisazione inutile perché è principio costante che esse sono di immediata applicazione da parte del giudice nazionale e quindi la loro violazione equivale a violazione delle leggi nazionali. Sicché, fino a qui, della legge nuova non c’è nessun bisogno.

Allora, perché? Qui sta il punto. Ignoranti, intimidatori e vendicatori non capiscono o fanno finta di non capire, che la riforma delle sentenze non significa affatto che esse siano erronee, a meno che – si capisce – non si rientri in uno dei casi descritti più sopra. Fuori di questi casi, i giudici di 2° grado – semplicemente – hanno valutato le prove e interpretato le leggi in maniera diversa dai loro colleghi. Ma non c’è modo di sapere chi di loro è nel giusto. Per restare al caso della rapina, il Tribunale può aver ritenuto – per esempio dopo una perizia – che il teste Caio, pur miope, ci vedeva abbastanza bene da poter riconoscere Tizio; e la Corte d’Appello può non essersi fidata di quella perizia e aver assolto Tizio perché il riconoscimento di Caio le è sembrato inattendibile.

Chi dei due ha sbagliato? E chi lo sa? E, quanto all’eventuale violazione di legge, il Tribunale può aver ritenuto che una coppia gay ha diritto di adottare un bambino, motivando le complesse norme in materia e il loro rapporto con la Costituzione; e la Corte d’appello può averle interpretate in maniera diversa. Chi ha avuto ragione? Ma allora perché si applicano le sentenze della Corte d’appello o della Cassazione se non è vero che sono più “giuste” di quelle riformate? Perché così dice la legge. Si tratta di una necessità sociale: bisogna arrivare a decisioni giudiziarie definitive, altrimenti i cittadini si farebbero giustizia da soli. La sentenza definitiva è quella che si applica, “giusta” o no che sia. Sicché pensare che la riforma della sentenza automaticamente significhi responsabilità civile del giudice che l’ha emessa è appunto frutto di ignoranza; o voglia di intimidazione o di vendetta.

Fino a qui la nuova legge è del tutto identica alla vecchia. Dove cambia sta nella gestione dei pagamenti. Finora il cittadino deve far causa allo Stato che, se avrà torto, dovrà risarcirgli il danno patito; poi si farà restituire i soldi dal magistrato (con il limite di un terzo dello stipendio annuo che si vuole portare alla metà). Ignoranti, intimidatori e vendicativi premono perché si possa far causa direttamente al magistrato. Il che non ha senso sia per ragioni pratiche che processuali. In pratica, per i magistrati nulla cambierebbe; nell’un caso o nell’altro, chi pagherà sarà l’assicurazione, che esista o no il limite della metà dello stipendio; è solo questione di costo della polizza. Ma processualmente sarebbe una tragedia. Il magistrato citato in giudizio dovrebbe necessariamente astenersi. Lo prevede la legge; e del resto che senso ha che un giudice decida un processo in cui una della parti o l’imputato pretendono da lui un sacco di soldi? La tentazione di dargli ragione per paura o torto per rabbia sarebbe davvero forte. Solo che, se si astiene, cioè se il processo passa a un altro magistrato, i tempi si allungano; e se anche il secondo magistrato viene citato in giudizio per danni, i tempi si allungheranno ancora di più. Insomma, la citazione diretta del giudice diventerebbe un modo per bloccare il processo. E siccome la nuova legge dovrebbe prevedere che la rivalsa dello Stato verso il giudice diventi obbligatoria (adesso è facoltativa) l’astensione (ripeto, obbligatoria per legge) non sarà evitata.

Un casino. Ricordate l’apprendista stregone (Goethe, Dukas, Disney)? Il problema è che qui uno stregone che ripari i danni degli apprendisti non c’è.

Il Fatto Quotidiano, 11 settembre 2014

Articolo Precedente

Yara Gambirasio, il gip respinge l’istanza di scarcerazione di Bossetti

next
Articolo Successivo

Eni, quando Scaroni disse al Senato di non aver parlato Bisignani del giacimento

next