Dopo settimane di proteste e sit-in pacifici nella capitale Sana’a,  ieri ci sono stati i primi morti. Almeno sette, oltre a 50 feriti, quando le forze di sicurezza yemenite hanno aperto il fuoco contro un gruppo di manifestanti houthi della minoranza sciita, che si era avvicinato troppo al palazzo del governo.

Uccisioni illegali, uso eccessivo della forza: queste le prime conclusioni di Amnesty International sulla base delle testimonianze raccolte ieri pomeriggio. “Non hanno dato alcun preavviso, improvvisamente hanno aperto il fuoco contro di noi, ad altezza d’uomo, con le armi automatiche” – ha riferito un testimone oculare. Le forze di sicurezza hanno usato cannoni ad acqua e gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti, poi li hanno inseguiti e arrestati fino alle loro abitazioni. Numerosi gli arresti, anche all’interno degli ospedali.

Il timore, ora, è che Sana’a diventi un sanguinoso campo di battaglia. Le prime dichiarazioni dei portavoce houthi confliggono: da un lato si annuncia una risposta “adeguata”, dall’altro continuano gli appelli per mantenere pacifica la protesta.

Il conflitto a intermittenza in corso da anni nel nord dello Yemen tra gli houthi e l’esercito yemenita (appoggiato da milizie e tribù locali), che già dal 2013 si era esteso dalla provincia di Saada a quelle di Amran, Hajja e Jawf, ora rischia di assumere un carattere nazionale.

Gli houthi, che prendono il nome dallo sceicco Hussein Badr Al-Din al-Houthi, parlamentare negli anni Novanta dello scorso secolo, passato alla lotta armata all’inizio di questo secolo ed ucciso dall’esercito yemenita nel settembre 2004, chiedono le dimissioni dell’attuale governo – secondo loro, corrotto e colpevole di provvedimenti impopolari, come la fine dei sussidi sulla benzina – e di non essere tenuti ai margini nel dibattito politico sul futuro del paese, assai incerto dopo la fine del trentennale potere del presidente Ali Abdullah Saleh.

L’allarme era arrivato già al Consiglio di sicurezza, che alla fine di agosto aveva chiesto agli houthi di ritirare le sue forze dalla provincia di Amran, sospendere le ostilità in quella di Jawf e smantellare i campi e i posti di blocco intorno alla capitale. Nelle capitali del Golfo, dove al potere sono le famiglie reali sunnite e le rivendicazioni degli sciiti sono all’ordine del giorno, si guarda alla situazione dello Yemen con grande preoccupazione.

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