Nessun dubbio sul fatto che il sindacato dei magistrati iniziasse a strillare accusando la politica di volere mettere le manette ai giudici. Magari hanno anche ragione ma il fatto che si assista a questo strillo d’ordinanza ogni qual volta un ministro, un sottosegretario, un semplice parlamentare deposita un atto per rivedere (riformare è una parola troppo impegnativa in Italia) l’attività della magistratura opacizza l’eventuale bontà di una critica ad un provvedimento per assumere i colori forti di un rifiuto a qualsiasi cambiamento.

Sembra quasi che il rappresentante dei magistrati, Sabelli, non sappia articolare altro suono oltre al ‘niet’.

Chiaramente il corollario che fa da sfondo investe intenti punitivi nei confronti della magistratura che, esente da colpe e responsabilità, al contrario offre un esempio di produttività che non ha pari in Europa. Sarà anche così ma la percezione di chi incappa in un processo civile o penale non sembra deporre a favore di questa originale tesi a cui nemmeno l’Europa pare credere più di tanto, se siamo malvisti, in tema di giustizia, come fossimo un paese da quarto mondo.

E’ probabile che nella mente di Sabelli gli unici deputati a potere riformare i magistrati siano i magistrati stessi i quali, fosse per loro, abolirebbero la prescrizione per potere, evidentemente, dilatare ancora di più i tempi tra un processo e l’altro. Il suo collega, Davigo, è andato ben oltre accusando l’avvocatura di essere lobby potente perché troppo numerosa. Ci ha ricordato che una sostanziale riforma dovrebbe dare strumenti al giudice per inibire cause fantasiose e prive di sostanza giuridica. Sabelli potrebbe soccorrerlo dandoci le statistiche di quell’istituto indubbiamente zoppo ma pur sempre esistente (causa temeraria) che sicuramente i giudici utilizzeranno a più non posso per arginare il fenomeno di azioni civili da strapazzo che con cui i cattivi avvocati ingolfano la giustizia. E da svariati decenni che mi aspetto questo numero e, temo, passeranno altri decenni prima di conoscerlo per la semplice ragione che, credo, sia ignorato dagli stessi giudici che, insieme agli avvocati, mangiano allo stesso desco.

Perché, la si metta come si vuole, il collasso della giustizia ha molti padri e molte madri. La categoria dei magistrati è tra loro e l’impronta genetica è marcata assai. Una storia che si ripete, in questo sciagurato paese, per cui una delle abilità maggiormente diffuse riguarda l’indicare l’altro come responsabile di un problema e se stessi come vittime.

I magistrati non fanno eccezione. Sono italiani come tutti noi. 

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