Il caso dei gemelli nati dallo scambio di embrioni sembra un problema senza soluzioni.

Mi sento istintivamente di condividere la decisione della giudice che ha affidato i bambini alla coppia che li ha partoriti, anche se è una questione che va profondamente dibattuta. Quale aspetto è giusto che abbia la precedenza: il patrimonio genetico con le informazioni che veicola, o la gestazione e i primi momenti di vita con il legame affettivo che fisiologicamente si crea nel neonato? Dal punto di vista psicologico è un problema che non si pone: un bambino è figlio di, e riconosce, chi se ne prende cura a prescindere dal rapporto biologico che ha con lui.

Probabilmente se potesse scegliere, un neonato preferirebbe genitori accudenti, stabili, affidabili, disponibili, tanto meglio se hanno il suo stesso patrimonio genetico. Se poi sono due o quattro, se hanno un orientamento sessuale o un altro, se lo hanno adottato o partorito per lui può fare poca differenza purché abbia a disposizione modelli di riferimento positivi.

D’altra parte non si può azzerare l’origine dei suoi geni, a cui sicuramente un giorno vorrà accedere, e non considerare i genitori biologici, sopratutto se questi lo vogliono (essere considerati).

Dal punto di vista psicologico sarebbe forse più utile che i genitori coinvolti in questo dramma si avventurassero verso nuove forme di adattamento, che riuscissero cioè (utopisticamente ?) a creare condizioni genitoriali e familiari inedite. Che questo “incidente” portasse a inventare nuovi modelli familiari o a rispolverarne di vecchi, magari una nuova famiglia allargata. Certo non sarebbe facile la “convivenza” è già difficile concordare l’educazione dei figli in due – anzi è uno dei temi in cui più facilmente avvengono i conflitti di coppia -figuriamoci in quattro.

In ogni caso sarebbe meglio che ognuna delle due coppie non perdesse di vista se stessa e i suoi figli, nelle battaglie legali che intraprenderà; che nel combattere non si preoccupasse soltanto di ottenere un possesso; che si trovasse velocemente una soluzione per vivere (e condividere), tutti, questi primi mesi di vita, così importanti per i bambini e per chi se ne prende cura; che si creassero le condizioni per la costruzione di sani attaccamenti: l’attaccamento è un comportamento innato per il bambino, ma dipende dalle condizioni ambientali per il modo e il tempo in cui si realizza.

Crescendo questi  figli potrebbero contare su più figure di riferimento, avere due famiglie, magari anche due case….

Anche se i i primi tentativi di collaborazione tra le due coppie non sono andati bene, sarebbe forse bene provare e riprovare tutte le strade per arrivare a una genitorialità allargata, considerarla come un obiettivo da raggiungere.

Il rifiuto iniziale è comprensibile, l’impatto emotivo è stato durissimo ma dovrà essere superato, perché ormai i loro destini sono legati.

Ai nostri genitori auguro di non perdere questa opportunità, di raccogliere questa sfida.

Buon lavoro a chi avrà la responsabilità di regolare tutto questo e renderlo applicabile in modo equo e generale cercando di mettere d’accordo, ragione, giustizia e sentimenti.

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