Quando un anno fa è nato Social street ed abbiamo creato il sito che ne raccoglie le esperienze nelle poche righe di linee guida, oltre che risottolineare che Social street vuole semplicemente favorire la socialità fra vicini di casa (e per questo non servono regolamenti) abbiamo anche precisato che Social street non porta avanti visioni politiche od economiche. Ad un anno di distanza l’economia (meno) e la politica (di più) stanno bussando alle porte del Social street, o meglio, stanno tentando di dare spallate.

Il prossimo 9 settembre sono invitato ad una tavola rotonda al Senato dove si parlerà di cittadinanza attiva e del rilancio del capitale sociale in Italia. A questo tavolo si parlerà di come le Istituzioni possono aiutare/collaborare con la cittadinanza attiva per favorirla. Dopo un anno di Social street, dopo aver osservato le oltre trecento strade in Italia ed aver ricevuto centinaia di email da ogni angolo dello stivale, forse posso dire cosa le Istituzioni “non” devono fare, ovvero invasioni di campo. Ricordo ancora una volta cos’è Social street e lo faccio perché quando ascolto il segretario del Pd di Bologna affermare ad una radio che Social street nasce con l’obiettivo di riqualificare beni comuni mi rendo conto che un anno di stampa non è stata sufficiente.

L’obiettivo di Social street è quello di instaurare rapporti di vicinato, ricreare senso di comunità in una strada, lavorare sulle relazioni, creare fiducia fra i singoli cittadini, sentirsi parte del territorio dove si vive, condividere con i propri vicini. La forza di Social street sta proprio nell’informalità di questo “movimento”, dove non girano soldi, dove i meccanismi di funzionamento si basano sull’economia del dono, la potenza di Social street sta nel tornare a salutarsi, nel parlarsi, nel guardarsi negli occhi, ecco come si crea capitale sociale. Cosa possono fare dunque le Istituzioni? Cose normali che in Comuni come quello di Bologna si sta già facendo, fare in modo che non si crei un muro fra cittadini ed istituzioni, cambiare i regolamenti comunali (come ha fatto Bologna) è stato un passo positivo per permettere ai cittadini di intraprendere iniziative pur non essendo entità giuridica.

Ecco, il ruolo delle Istituzioni dovrebbe fermarsi a questo se davvero l’interesse è quello lasciare crescere Social street in modo autonomo. Scrivo questo perché nell’ultimo mese ho ricevuto moltissime telefonate di amministratori pubblici, assessori di vario tipi che mi contattavano perché vorrebbero far nascere delle Social street, il motivo, più o meno velato me lo hanno comunicato, le amministrazioni avranno sempre meno fondi ed una cittadinanza che si autorganizza è oro dal cielo per loro. Ecco, se questi sono i motivi allora la politica deve fare un passo indietro.

Social street può essere una rivoluzione sociale se i due livelli rimangono distinti, collaborare con le Istituzioni vuol dire darsi una mano a vicenda senza strumentalizzazioni. Un’amministrazione lungimirante comprenderebbe che lasciando crescere spontaneamente queste “neonate” social street senza pressioni, potrà favorirne la crescita e farle diventare strumenti di socialità dalle mille potenzialità. “In un momento di diffusa perdita di fiducia nelle istituzioni” afferma Luigi Nardacchione (Responsabile Istituzioni per Social street), “uno dei motivi del successo delle Social street molto probabilmente risiede nel fatto che si tratta di reti costruite dal basso in ambiti territoriali delimitati: non stravolgerne la struttura vuol dire anche ricreare condizioni di cui potrà avvantaggiarsi l’intera comunità sia sotto l’aspetto politico, sociale che economico”.

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