Io credo nel ruolo dei partiti, credo che un partito non possa essere il movimento del premier. I partiti dovrebbero avere una loro vita democratica, dei loro organismi dirigenti, sostanzialmente il Pd in questo momento non ha una segreteria, ma un gruppo di persone che sono fiduciarie del presidente del Consiglio. In questo modo il partito finisce per avere una vita molto stentata…Il consenso è importantissimo, ma i partiti sono delle comunità di persone che durano nel tempo, al di là del consenso che possono avere in un’elezione e, magari, un po’ meno in quella successiva…Il consenso è sempre di più un dato fluttuante e proprio per questo occorre una struttura organizzata, una comunità che discute, che si confronta insieme sui problemi…

Ogni persona dabbene, anche non iscritta e non elettrice del Pd – unico partito non personale rimasto in campo sino a qualche mese fa – ha pensato e ha detto tutto questo sin dall’esordio di Matteo Renzi sulla scena politica nazionale. Esattamente come quanti ritenevano, sin dalla nascita, che il Pd – nella sua pretesa di mettere insieme ex-pci ed ex-dc e poi nella sua pretesa di dividersi maggioritariamente tutti gli elettori con il solo Berlusconi – era destinato al fallimento, prima paralizzandosi nella incapacità di prendere grandi e chiare decisioni e poi divenendo subalterno a tutto: allo status quo, alle grandi lobby, ai cosiddetti poteri forti, all’Europa germanizzata e ovviamente al primo furbetto di passaggio che si accontentasse di galleggiare, di “annunciare” e di “ben comunicare”.

Sinora Massimo D’Alema – che ha pronunciato l’altro ieri le condivisibilissime affermazioni riportate fedelmente nel primo capoverso di questo scritto – ha invece fatto finta di non capire. Ha prima tentato invano di dominare in quel guazzabuglio che è il Pd (e non c’è riuscito, tanto da uscirsene ad un certo punto con l’affermazione, da volpe che non riesce a prendere l’uva, dell'”amalgama mal riuscito”) e poi di far suo o di trattare o perlomeno di costringere ad un accordo, magari sottaciuto e personale, colui che nacque come suo “rottamatore”. Niente. E, guarda un po’, finalmente il lucido D’Alema fa quelle lucidissime dichiarazioni solo dopo essere stato trombato da Renzi in sede di nomine europee.

Bene, si dirà, chi è causa del suo mal pianga se stesso. Ma il fatto è che a prenderla sul muso non è solo D’Alema, che se lo stramerita, ma l’intero paese, peraltro in una fase di gravissima crisi, finito nelle mani di un Fonzie le cui categorie adolescenziali di nemici da combattere sono i gufi, i rosiconi e i professoroni, e i cui strumenti comunicativi più importanti sono neologismi come annuncite e supplentite.

Uno degli errori più imperdonabili che vanno commettendo da qualche mese i commentatori politici italiani di ogni ordine e grado – con conseguenze devastanti sulla opinione pubblica – è quello di dare la colpa a Renzi per ciò che sta facendo Renzi. Si è arrivati a scriverne come “l’uomo che ha svuotato la sinistra”, quando appare in tutta evidenza che solo una sinistra già abbondantemente, se non totalmente svuotata (ammesso e non concesso che il Pd voglia e possa ancora essere ascritto a una qualche “sinistra”), poteva consentire a una botticella ripiena di vuoto e di bullismo infantile di galleggiare nel suo mare.

No, Renzi non ha colpe. Lui fa il suo mestiere, ciò che sa fare e ciò che riesce a concepire. Di ben altri sono le colpe. Anzi all’uomo di Rignano sull’Arno possono essere fatti solo complimenti. Non avendo alle spalle un grande apparato di partito come i D’Alema e i Veltroni, non disponendo di mezzo mercato televisivo e pubblicitario e di un patrimonio paperonesco come Berlusconi, non potendo vantare le aderenze europee di un Monti o di un Enrico Letta, e non avendo nemmeno acquisito l’autorevolezza di un Prodi, è riuscito in dieci anni, tra i 29 e gli attuali 39 anni, a fare il presidente della provincia di Firenze, poi il sindaco di una delle più belle città del mondo, quindi il segretario del più importante partito italiano, dopo due mesi il capo del governo italiano e infine – anche se solo per sei mesi – il presidente del Consiglio dell’Unione Europea. Con questo ritmo potrebbe tranquillamente scalare nei prossimi dieci anni le sole postazioni che mancano al suo palmares: il Quirinale, l’Onu e il premio Nobel (per la pace o la letteratura, quest’ultimo in concorrenza con i “Philip Roth” italiani Veltroni e Franceschini), consentendo ai renzi-boys e alle renzi-girls di seguirne le ombre e di prendere i posti da lui man mano lasciati liberi. Altro che colpe. Chapeau, presidente Renzi!

Ora, di suo il bulletto non sarebbe arrivato a tanto (nemmeno Mussolini, senza la complicità della monarchia e della borghesia, sarebbe riuscito nella sua tragica impresa; probabilmente nemmeno Berlusconi, senza avere dalla sua la paura del capitalismo e della destra italica, sarebbe riuscito a sfondare). Bisogna allora individuare e nominare coloro che hanno la responsabilità storica di aver consentito all'”ebetino” di assurgere a capo della sinistra ufficialmente considerata e addirittura del paese, determinando, dopo il “ventennio berlusconiano”, una fase di ulteriore, si spera breve e non definitivo indebolimento delle istituzioni democratiche e del costume nazionale.

All’inizio di tutto, ovviamente, ci sono la sua resistibilissima ascesa al vertice del Pd e quella straordinaria invenzione che sono le “primarie” (per le nomine anche interne al partito) aperte anche ad esterni e di fatto anche ad avversari del partito. Ma, al fondo di tutto, c’è di più: il “realismo politico” di questi nipotini degeneri e di bassa lega del togliattismo, ridotto a pratica di mera conservazione di carriere e di relazioni di potere.

L’ultima generazione di ex-comunisti (Veltroni, Fassino e a suo modo D’Alema, per non parlare dei Minnitti e scendendo per li rami delle Mogherini, delle Madia, ecc. ecc.), in compagnia questa volta dei coetanei “dirigenti di partito” ex-democristiani (a cominciare dai Franceschini), si son detti più o meno: lasciamolo fare, è un po’ coglionazzo ma parla bene, si presenta bene, è l’unico di noi che può riuscire a prendere voti, poi in una qualche maniera deve fare i conti con noi… Solo che questi astutissimi strateghi sono l’uno contro l’altro, e il bulletto fiorentino sta facendo con loro come l’ultimo degli Orazi fece con i tre Curiazi.

Una cosa è certa: quello che sta avvenendo (un Fonzie a capo della “sinistra” e del governo del paese) e quello che di peggio potrà avvenire (un “burattino” che riesce ad avere definitivamente ragione dei burattinai e combina guai epocali) è l’ultimo disastro lucidamente compiuto ai danni del paese in particolare dagli ex-Pci, per i quali Berlinguer era più o meno incapace, antiquato e arretrato, e invece Craxi un politico moderno, innovativo e fattivo. Disastro ascrivibile in primis a D’Alema, Veltroni e Fassino. E in secundis a Bersani, che pure è quello che ha resistito più a lungo ma che ora sta mostrando, rispetto a Renzi, anch’egli troppo “realismo politico”. Ma ormai ha poco tempo davanti a se per evitare il peggio. O si muove adesso o nemmeno lui potrà più essere utile a qualcosa.

C'era una volta la Sinistra

di Antonio Padellaro e Silvia Truzzi 12€ Acquista
Articolo Precedente

Renzi e la sindrome dell’annuncite

next
Articolo Successivo

Camere, ufficio bilancio costa 6 milioni. In 4 mesi ha fatto assunzioni. E poco altro

next