Le potenze del Golfo Persico prendono le distanze da Isis e Al-Qaeda. Qatar e Arabia Saudita hanno condannato entrambe la violenza con la quale i due gruppi terroristici stanno portando avanti le loro battaglie. Questa inversione di marcia potrebbe causare problemi economici alle due organizzazioni, dato che l’attacco arriva da quelli che sono ritenuti i maggiori finanziatori dei gruppi fondamentalisti islamici. I metodi di approvvigionamento dei gruppi armati jihadisti non si limitano, però, ai finanziamenti esterni, ma spaziano dai furti alle estorsioni, passando per il contrabbando di petrolio e armi. L’Isis, inoltre, ha il pieno controllo politico nei territori del califfato, tanto da aver organizzato la riscossione di una tassa che finanzi la battaglia per lo Stato Islamico. 

Un attacco, quello dei due paesi, che potrebbe segnare il punto di svolta nella battaglia al terrorismo islamico che, con il dietrofront delle potenze del Golfo, si troverebbe ad affrontare una grande crisi economica. Le dichiarazioni degli ultimi giorni da parte dei governanti degli stati arabi sono vere e proprie frasi di condanna. Il ministro degli Esteri qatariota, Khaled al-Attiyah, ha stigamtizzato “la barbara esecuzione del giornalista americano, James Foley, aggiungendo che “il Qatar non supporta i gruppi estremisti, incluso l’Isis”, rigettando così le accuse che volevano l’emirato del Golfo come uno dei più importanti finanziatori dell’organizzazione nata da una costola di Al-Qaeda. In realtà, il Qatar in passato ha finanziato gruppi armati sia in Libia, nel 2011, quando si combatteva per rovesciare il regime del presidente, Mu’ammar Gheddafi, che in Siria nel 2012, come spiega Seymour Hersh nella sua inchiesta The Red Line and The Rat Line“, pubblicata da London Review of Books, quando, attraverso la “rat line”, un canale di rifornimenti creato da Cia, MI6 (servizi segreti britannici, ndr) e servizi segreti turchi che partiva dalla Libia, attraversava la Turchia e arrivava nelle aree gestite dai ribelli siriani, inviava soldi alle forze che combattevano il regime dell’attuale presidente, Bashar al-Assad.

 A finanziare i gruppi terroristici in Siria attraverso la “rat line” c’era anche l’Arabia Saudita che in passato ha finanziato organizzazioni come Al-Qaeda, i taliban afgani e pakistani e, appunto, l’Isis. Anche il Gran Muftì dell’Arabia Saudita, Sheikh Abdul-Aziz Al al-Sheikh, la più alta carica religiosa del paese, si è espresso duramente nei confronti dei gruppi terroristici islamisti: “L’estremismo islamico – ha detto – non fa in alcun modo parte dell’Islam, ma è il suo nemico numero uno e i musulmani le sue vittime”. Anche il Re saudita, Abd Allah, ha attaccato, in agosto, i “gruppi militanti estremisti che usano l’Islam come giustificazione dei loro terribili atti”. Martedì il ministro dell’Interno saudita ha annunciato l’arresto di 88 persone sospettate di collegamenti con cellule terroristiche all’interno del paese.

I finanziamenti da parte delle potenze della Penisola Arabica non sono, però, l’unica fonte di approvvigionamento dei gruppi fondamentalisti islamici. Come riporta un’inchiesta della Deutsche Welle, infatti, la maggior fonte di denaro per i miliziani dell’Isis proviene dai furti avvenuti nei territori conquistati in Siria e nel nord dell’Iraq, tenendo conto che nel secondo stato i terroristi hanno potuto saccheggiare la Banca Centrale di Mosul e altri istituti locali, per un bottino totale di 420 milioni di dollari, circa 320 milioni di euro, a cui vanno aggiunti i lingotti d’oro presenti nelle casse delle banche. Inoltre, i miliziani del califfo Abu Bakr al-Baghdadi hanno iniziato, come racconta al sito tedesco il presidente dell’European Association for Middle Eastern StudiesGünter Meyer, a trafficare petrolio iracheno oltre il confine con la Turchia. Sia lo Stato Islamico che al-Qaeda, va ricordato, utilizzano gli ostaggi come merce di scambio per la liberazione di loro miliziani o, più spesso, per finanziare la jihad. Il New York Times ha stimato che, dal 2008, al-Qaeda ha ricevuto una cifra intorno ai 125 milioni di dollari proveniente dai riscatti pagati dagli stati europei per la liberazione degli ostaggi. Una pratica, quella delle nazioni del vecchio continente, che ha ricevuto attacchi da parte del presidente americano, Barack Obama, che li ha accusati di essere anch’essi finanziatori del terrorismo. Nel complesso, l’Isis avrebbe a disposizione fondi per 2 miliardi di dollari.

La presa di posizione di Qatar e Arabia Saudita segna un netto dietrofront rispetto alle loro posizioni di appena un anno fa. L’Iraq governato da politici e dirigenti provenienti dalle scuole sciite iraniane e il processo di pacificazione tra Iran e Stati Uniti che ha rafforzato il blocco sciita nell’area formato dal paese con a capo Hassan Rouhani, la Siria di Assad e Hezbollah hanno certamente messo sull’attenti i regnanti del Golfo che da sempre cercano di arginare il controllo sciita dell’area. Lo hanno fatto in passato con al-Qaeda, con al-Nusra in Siria e, infine, con lo Stato Islamico. Oggi, però, la situazione sembra essere fuori controllo, con gli uomini di al-Baghdadi che seminano terrore in Siria e Iraq (paese confinante on l’Arabia Saudita), e al-Qaeda che torna a farsi sentire anche nel vicino Yemen. Una situazione che, probabilmente, le potenze del Golfo non hanno intenzione di far degenerare.

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