L’incontro avviene a Milano, zona Fiera, in primavera. Sono trascorsi ormai più di vent’anni da quella tragica sera del 10 aprile 1991 quando il Moby Prince, un traghetto passeggeri della Navarma appena salpato da Livorno per Olbia, entra in collisione con la petroliera Agip Abruzzo a poche miglia dal porto di Livorno e viene abbandonato al suo destino, lasciato alla deriva in fiamme. Centoquaranta morti, nessun colpevole per i mancati soccorsi, nessuna spiegazione plausibile per un enigma rimasto irrisolto, nessuna responsabilità individuata tra i mandanti dei depistaggi (come il timone manomesso da un dipendente del Moby), per la scomparsa della scatola nera dal vano eliche del traghetto. Nessuna informazione ufficiale sulle navi militarizzate americane cariche di armi alla fonda quella sera di fronte al porto toscano. 

Roger Olivieri è ormai un ex della Marina Militare. La sera del 10 aprile 1991 si trovava a Livorno, come allievo ufficiale dell’Accademia navale. Conseguito il titolo e i gradi ha preferito cambiare vita. Per sempre. Ma non dimentica. Quella vicenda rimane una ferita aperta, anche per lui. Perché ci sono vittime dimenticate, come quelle del Moby Prince. E ci sono testimonianze dimenticate, come quella di Roger Olivieri. “Il libro-inchiesta Moby Prince. Un caso ancora aperto (tra quelli che ha riportato i riflettori su una storia dimenticata, ndr) è una ricostruzione corretta e precisa – afferma – Vorrei però che leggesse un altro documento: si tratta del rapporto informativo che ho scritto e consegnato ai miei superiori poche ore dopo la tragedia. Un sottufficiale mi aveva sconsigliato di farlo, ‘non impicciarti, non sono affari tuoi, meglio se lasci perdere’ mi aveva avvisato… Ma avevo deciso che invece bisognava lasciare traccia di ciò che avevo visto, era mio dovere”. 

E allora leggiamo il rapporto informativo e torniamo indietro alla sera del 10 aprile 1991, porto di Livorno. Sono le 22.15, l’allievo ufficiale Roger Olivieri si trova sul piazzale antistante l’Accademia Navale, in compagnia di un collega, Paolo Thermes, insieme al quale osserva la situazione delle navi in rada. Non c’è nebbia, è una serata chiara e tiepida, si vedono le Secche della Meloria distanti oltre 7 chilometri dalla costa: dal piazzale dell’Accademia sono ben visibili 4 navi ancorate, tutte con la prua rivolta a nord. L’ultima della quattro, situata più a sud, è l’Agip Abruzzo, la più grande, una petroliera illuminata come un albero di Natale.

Proprio l’Agip Abruzzo cattura improvvisamente l’attenzione dell’allievo ufficiale. Qualcosa sta avvenendo attorno a quella nave. Strani bagliori rossastri, di intensità variabile, provengono dalla petroliera, mentre qualcosa di molto simile a una “nuvola biancastra” avvolge progressivamente la sagoma della nave. Non si tratta di nebbia, Olivieri ne è sicuro: le luci di fonda e di coperta della petroliera rimangono visibili, così come “perfettamente visibili” sono tutte le altre navi alla fonda. Che cosa sta succedendo nel punto della rada dove è ancorata la petroliera? Passano i minuti, i due militari entrano nella palazzina San Leopoldo, residenza degli allievi dell’Accademia Navale e raggiungono insieme l’alloggio affacciato sul mare. Dalla finestra si osserva meglio la situazione: è in questo momento che vedono passare davanti a loro il Moby Prince, da poco salpato, mentre supera la diga della Vegliaia e si dirige verso la rada dove sono ferme alla fonda le altre navi. O meglio: dovrebbero essere ferme alla fonda, perché in realtà Roger Olivieri osserva e annota un fatto nuovo, imprevisto.

Un fatto mai emerso finora, mai rilevato nel corso dell’inchiesta, del processo e della recente riapertura delle indagini da parte della Procura di Livorno, poi concluse con l’archiviazione. Un fatto descritto nel Rapporto informativo redatto da Olivieri poche ore dopo la tragedia. Mentre il traghetto passeggeri sta navigando in uscita dal porto e mentre dalla petroliera continuano ad arrivare strani bagliori, l’allievo ufficiale vede che una delle navi ancorate al centro della rada sta iniziando a muoversi.  Questa nave, rimasta fino ad oggi senza nome, abbandona il punto di ancoraggio per spostarsi più a nord. Per quale motivo? Nessuna comunicazione in proposito emerge dalle registrazioni radio di quella sera, nessuna segnalazione o richiesta di autorizzazione a modificare la zona di ancoraggio precedentemente segnalata. Intanto Roger Olivieri è sempre affacciato alla finestra. La sua attenzione rimane attratta dagli strani e irregolari bagliori provenienti dalla petroliera. 

Poi improvvisamente, mentre il traghetto Moby Prince continua la navigazione in uscita dal porto, la petroliera scompare, l’impianto di illuminazione si spegne di colpo. Niente più luci di fonda e di coperta. Si continuano a vedere i soliti strani bagliori rossastri. “Sembrava un incendio”, diranno i due allievi ufficiali al magistrato che indaga sulla tragedia. Un incendio a bordo della petroliera, ben prima della collisione con il Moby Prince. A un certo punto scompaiono anche i bagliori rossastri. In rada ormai si vedono alla fonda solo tre navi, la petroliera è definitivamente invisibile. Per quale motivo questo improvviso oscuramento? Una spiegazione ci sarebbe e darebbe anche un senso all’altra questione controversa della presenza della nebbia quella sera. L’hanno data i consulenti della Procura durante l’inchiesta bis, ma i magistrati l’hanno ignorata: un guasto a bordo della petroliera,  non raro, dissero gli ammiragli incaricati dalla Procura. Ma di questa ipotesi nelle conclusioni dei magistrati del 2010 non c’è traccia.  

Dopo quelle dell’Agip anche le luci del Moby Prince, racconta Olivieri nel suo rapporto, non sono più visibili dal porto: evidentemente il traghetto ha già superato la linea di ancoraggio delle navi in rada e si trova oltre la sagoma della petroliera Agip Abruzzo. Di lì a pochi minuti, equipaggio e passeggeri del traghetto vengono fatti radunare nel Salone de Luxe (verranno trovati tutti lì, i loro corpi). Per quale ragione equipaggio e passeggeri del Moby Prince (molti dei quali si trovavano già nelle rispettive cabine) vengono radunati in fretta in quel salone? Davvero il traghetto, come sostengono alcuni, iniziò a compiere una manovra di rientro in porto? E perché? Cosa sta succedendo in mezzo alla rada di Livorno, fra navi ancorate che si muovono, una petroliera che scompare alla vista e un traghetto passeggeri diretto a Olbia? Sono circa le 22.30: Roger Olivieri è adesso seduto alla scrivania con un libro aperto. La lettura dura pochi secondi. Un’esplosione, improvvisa, dal mare: fiamme alte illuminano a giorno la zona circostante. Inizia la tragedia del Moby Prince.

11 aprile 1991: il traghetto Moby Prince, una bara fumante, viene trainato in porto. Una volta ormeggiato, una mano ignota ed esperta preleva rapidamente dal vano eliche il potenziometro e il registratore dell’impianto KaMeWa, una sorta di scatola nera in grado di documentare con precisione velocità, rotta e punto di collisione del traghetto. Il registratore non verrà mai ritrovato. Nessun responsabile individuato.

Nell’hangar dove vengono depositati i resti umani, all’interno di una borsa accanto a un corpo di donna semi-carbonizzato viene rinvenuta una videocamera, miracolosamente intatta e funzionante. Sul nastro sono registrate immagini e suoni di quanto avveniva a bordo del Moby Prince pochi istanti prima della tragica collisione. Troppi occhi (medici, personale ausiliario) sono presenti a quel ritrovamento: la videocamera non può essere fatta scomparire come le scatole nere del vano eliche. Diverse mani ispezionano quello straordinario reperto. Al magistrato che indaga sulla sciagura la videocamera viene consegnata molti giorni dopo il suo rinvenimento. Il magistrato la trasmette immediatamente al laboratorio centrale della Criminalpol, che esamina il video e certifica: “Il nastro magnetico presenta un taglio e una giunzione effettuata in modo non professionale”. Agli atti rimarrà che il nastro era “adeso” alla meccanica della camera: per sfilare la cassetta gli esperti tagliarono quanto si era “unito” alla testina.

Per indagare sulla più grave tragedia della marineria civile italiana, la Capitaneria di Porto di Livorno impiega 11 giorni, un record mondiale di velocità. La ricostruzione dell’inchiesta sommaria: un banco di nebbia improvviso avvolge la petroliera (lasciando però visibili tutte le altre navi) e il traghetto entra in collisione a causa anche di una rotta imprudente. Eppure diversi testimoni, compreso lo stesso Avvisatore marittimo in servizio quella sera al porto, osservano un elicottero volteggiare in rada pochi minuti dopo la collisione (evidentemente era già in zona) e poi allontanarsi definitivamente, destinazione nord, dove si trova tra l’altro Camp Darby, base americana tra Livorno e Pisa. Cosa è successo davvero la sera del 10 aprile 1991 nella rada di Livorno? Per quale ragione 140 persone sono morte a bordo di un traghetto nelle acque di un porto italiano?

* Enrico Fedrighini è autore di Moby Prince: un caso ancora aperto (Edizioni paoline, 2005)

Articolo Precedente

Foley, anche l’Italia ha un rapper jihadista è Anas El Abboubi, da Brescia ad Aleppo

next
Articolo Successivo

Moby Prince, ex dirigente Navarma: “Su fiancata traghetto segni di altro urto”

next