Dunque la questione è semplice e la priorità sotto gli occhi di tutti: fermare l’avanzata dell’Isis in Iraq (e poi chissà dove), fondamentalisti del jihad in confronto ai quali persino al Qaeda sembra una pattuglia di chierichetti. Dunque, armare i peshmerga curdi che sono in prima linea nella battaglia. Il governo italiano, e anche molte opposizioni, da Forza Italia a Sel, alla Lega, è pronto, l’Europa ha già deliberato. Insomma, si farà; e dal punto di vista geopolitico non si tratta di una scelta avventata, semmai di un frettoloso e tardivo “correre ai ripari”. L’emergenza detta l’agenda, come al solito, e così non c’è tempo di rivangare troppo sul come e perché si è finiti in una simile situazione. Saddam era cattivo, certo, molto cattivo, ma c’è da scommettere che chi governa il mondo oggi rimpianga i giorni di quel dittatore. Poi si decise (Tony Blair, George Bush e tutti gli altri al seguito) di esportare la democrazia, cosa che non funzionò troppo egregiamente, per usare un eufemismo. E quanto ai curdi, notazione in margine, il paese che adesso insiste per inviargli armi (noi) è lo stesso che consegnò Ocalan – il “terrorista” Ocalan – alla Turchia, per dire.

Insomma, la storia cambia, quel che ieri sembrava giusto (la “guerra giusta”) si è rivelato un disastro, e viene da chiedersi se anche quello che sembra giusto oggi non possa un giorno rivoltarcisi contro come un serpente. Perché un dato è certo e inconfutabile: che le armi durano più dei soldati e spesso persino delle guerre. L’Isis per dire, usa carri armati e anfibi sovietici. Le armi che invieremmo agli eroici peshmerga che difendono il Kurdistan iracheno sarebbero in gran parte armi sequestrate durante la guerra nell’ex Jugoslavia, sopravvissute a quel conflitto, chiuse in un bunker a disposizione della Nato, pronte per essere inviate a lavorare presso altri conflitti e così via.

Una guerra un po’ vintage, insomma, con armi datate ma sempre mortali, dove l’unica cosa attuale e moderna sono i droni americani. Si ringraziano gli organizzatori di non usare la formula “guerra giusta”, che porta un po’ sfiga, ma insomma, il concetto è quello. Ora, però, va detto: quando si inonda di armi una particolare zona del pianeta, è bene sapere che le armi poi lì ci rimangono. E che quando ci sono tante armi qualcuno avrà la tentazione di usarle, alla bisogna. Questo non risolve il problema: che si debba in qualche modo fermare l’avanzata dell’Isis è fuor di dubbio, non fosse altro che per i crimini contro l’umanità che stanno compiendo. Allo stesso tempo, sarebbe doveroso cercare di evitare gli errori del passato, mentre risulta che i fautori di quelle vecchie guerre, che hanno prodotto queste, siano ancora in servizio permanente ed effettivo. In Italia, per ora, il dibattito ha riguardato soltanto le frasi un po’ maldestre e molto naïf di un deputato grillino, Di Battista, sulla necessità di dialogo con i terroristi. A parte il fatto che l’Isis ha un esercito armatissimo ed efficiente e fa in Iraq una guerra abbastanza tradizionale, quindi non direttamente equiparabile al terrorismo, resta il fatto che andare a parlarci non sarà una cosa facile. E però va anche detto che fin qui le guerre (“giuste”, sbagliate, feroci mattatoi di civili) hanno prodotto quello che stiamo vedendo, e mai risolto qualcosa. Ora mandiamo le armi ai curdi, va bene. E incrociamo le dita, che quelle armi che oggi sono “buone” non diventino un domani “cattive”. È già successo, probabile che risuccederà.

@AlRobecchi

Dal Fatto Quotidiano del 20 agosto 2014

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