Dopo aver taciuto per giorni, lasciando che i vari Alfano e Sacconi imperversassero con dichiarazioni agostane contro l’articolo 18 – mentre tutti si chiedevano dove fosse finito il ministro del lavoro – finalmente Giuliano Poletti decide di intervenire. E lo fa un’intervista al Corriere della Sera che, mentre chiarisce che l’abolizione dell’art. 18 non è in agenda, suscita più dubbi di quanti non ne chiarisca. 

Il contratto di inserimento a tutele crescenti? Si farà, ma come renderlo più conveniente del contratto a tempo determinato? Boh, risponde il ministro. 

La disoccupazione giovanile altissima? L’unica risposta sta nella solita retorica governativa dello Youth Garantee, anche se lo stesso ministro afferma che il sud non sta mettendo in campo iniziative adeguate per renderlo funzionante (e d’altronde, come già rilevato da numerosi esperti, compresi quella della Voce.info, il programma rischia di andare a ingrassare le agenzie del lavoro, senza creare posti di lavoro effettivi). 

Gli ammortizzatori universali tanto decantati da Renzi, affinché nessun giovane o donna incinta rimanga più senza tutele? Poletti ha le idee confuse: dovrebbero pagarlo le imprese, ma anche la fiscalità generale, “ma abbiamo il problema delle risorse”. 

Gli esodati futuri che arriveranno dai cassaintegrati che non troveranno lavoro e non saranno pensionati? È un tema che abbiamo in lavorazione, ma è strettamente legato alle risorse. 

L’Irap? Colpisce le imprese a più alto tasso di produttività e andrebbe tagliata, “ma abbiamo il problema della risorse”. 

L’unica cosa certa che si intuisce dall’intervista è che sull’ampliamento delle tutele, e su altri interventi che aiuterebbero lo sviluppo, non c’è alcuna certezza, né speranza. Solo sui tagli il ministro sembra avere le idee chiare: si decurteranno le pensioni alte. Ma che intende il ministro per pensioni alte? La cifra non viene fornita, ma si intuisce dalla risposta minacciosa alla domanda del giornalista che nota che le pensioni davvero alte sono un numero molto basso. “Dipende da dove si fissa l’asticella”. Dunque l’intervento non sarà sulle pensioni davvero alte, ma su quelle medio-alte. In altri termini: nuove tasse sul solito ceto medio tassabile. 

Quello che emerge è un quadro sconfortante ma perfettamente in linea con il governo: nessuna idea chiara di come uscire dalla spirale della recessione, una valanga di buoni propositi illusori che tutti sanno essere privi di copertura, la ricerca affannosa di nuovi fronti sui quali tagliare, come se ormai non si fosse capito che i tagli alle famiglie e ai redditi non fanno che aggravare la spirale regressiva. In tutto ciò, dovremmo anche restare allegri e continuare a spendere le risorse che non abbiamo. Se almeno fosse rimasto il senso del ridicolo, la situazione resterebbe tragica, ma almeno la farsa ci sarebbe risparmiata. 

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