È una sentenza equilibrata e rispettosa quella di Silvia Albano, il giudice che ha stabilito che i gemelli scambiati restino con la madre che li ha partoriti e suo marito e che il caso non è suscettibile di ricorso alla Corte costituzionale, perché, tra l’altro, “contrastante con gli interessi dei minori alla stabilità del loro status”. Non c’è dubbio infatti che, avendo come obiettivo il rispetto delle norme esistenti e al tempo stesso la tutela dei bambini, e alla luce del fatto che “i gemelli sono già nati e che nei loro primi giorni di vita deve ritenersi abbiano instaurato un rapporto affettivo con i genitori”, il giudice non poteva che arrivare a una simile conclusione, visto che l’ordinamento italiano stabilisce che la madre è la donna che partorisce.

Nella sentenza non manca un riferimento “al dramma umano dei genitori che si erano rivolti all’ospedale per trovare soddisfazione al loro diritto alla procreazione, che potrà trovare tutela solo risarcitoria”. Impossibile, d’altra parte, immaginare lo scenario alternativo di neonati portati via dopo il parto per essere restituiti ai genitori genetici; o addirittura, come suggerito tra l’altro dai legali di questi ultimi, in un istituto. Ipotesi inverosimili sia a livello legislativo – perché tra l’altro lesive dei diritti della partoriente – sia a livello umano, visto che il legame tra madre e figlio (come ha sottolineato anche la sentenza, che ha parlato di “letteratura scientifica unanime”), si crea già durante la gravidanza per rafforzarsi con l’allattamento al seno: un fatto di tale evidenza che solo chi pensa astrattamente, e forse non ha mai vissuto da vicino una gravidanza e un parto, può contestare.

Ma parlare di sentenza equilibrata non significa parlare di sentenza giusta a livello umano – impossibile ignorare la sofferenza dei genitori genetici – né che tenga conto di quanto sempre più nell’immaginario e nell’etica comuni un bambino sia il risultato di più fattori: il patrimonio genetico di chi dona i gameti, quello biologico di chi porta avanti la gravidanza, infine il desiderio di cura di chi decide di crescere un bambino. Una distinzione che nasce però proprio dal presupposto della separabilità di questi aspetti – grazie alla quale sono possibili nuove forme di genitorialità (si pensi alla fecondazione eterologa, alle gravidanze surrogate, ma anche alla stessa adozione), mentre nel caso dei gemelli scambiati la separazione, non voluta, è avvenuta per un tragico errore.

Questo significa, come ha notato Zagrebelsky, che forse non è corretto parlare di “vuoto legislativo” né della necessità di una nuova legge. E al tempo stesso che una soluzione era possibile solo fuori dalle aule di tribunale, magari nella direzione indicata dai comitati di bioetica, che avevano suggerito una collaborazione tra i genitori e un eventuale ricorso a una forma, difficile ma possibile, di genitorialità allargata, che sempre porta con sé una ricchezza di emozioni e di vita. Questo non è accaduto, anche se ogni coppia rimprovera all’altra il fallimento del dialogo. Purtroppo, pensare di sciogliere un dramma etico attraverso colpi di sentenze è illusorio e forse anche irresponsabile. Comprensibile il desiderio di maternità, il terrore di perdere i bambini, ma solo accettando l’irreparabile ormai accaduto, e sapendo che indietro non si torna mai, si sarebbe potuto, attraverso l’incontro, il dialogo, persino la condivisione del lutto, arrivare a un altro approdo veramente giusto e compassionevole nei riguardi di tutti.

Il Fatto Quotidiano, 10 Agosto 2014

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