La prima edizione si disputò in Italia (Regno d’Italia), per la precisione a Torino nello stadio allora intitolato a Benito Mussolini (oggi è l’Olimpico) ed era aperta solo ad atleti uomini. Un altro mondo ma neanche troppo lontano perché parliamo di ottant’anni fa e della prima edizione dei campionati europei di atletica leggera. Era il 1934 quando iniziò la competizione che, giunta alla 22ª edizione, dal 12 agosto farà scendere in pista i migliori atleti e atlete del vecchio continente. La pista e il campo di gara saranno quelli del Letzigrund Stadion di Zurigo, per la seconda volta dopo Berna 1954 l’atletica sbarca in Svizzera, come sempre pronta e all’altezza di eventi internazionali.

Le edizioni dei campionati ebbero cadenza quadriennale fino al 2010 quando si decise di dimezzare l’attesa e hanno registrato l’unica defezione nel 1942 (per eventi bellici). L’Europa ha sempre coltivato un grande feeling con l’atletica, soprattutto superpotenze come Russia e Germania hanno sempre sportivamente battagliato con quelle extraeuropee (in Olimpiadi e Mondiali) e nei numeri svettano nel medagliere dei campionati europei (anche raccogliendo i dati con le vecchie divisioni, Urss e le due Germanie).

L’Italia è in pratica al settimo posto con 116 medaglie totali (35 ori, 41 argenti e 40 bronzi) ed ha colto il bersaglio grosso (almeno un oro) in tutte le edizioni meno quella del 1958. A Stoccolma solo il marciatore Abdon Pamich, con il suo argento nella 50 km di marcia evitò lo zero totale al medagliere azzurro. L’atleta nato a Fiume conquistò l’oro nelle due edizioni successive, a Belgrado ’62 e a Budapest ’66. Proprio l’edizione ungherese diede il primo oro anche a un altro atleta capace della doppietta aurea, Eddy Ottoz, nei 110 ostacoli (primo anche nell’edizione ravvicinata di Atene 1969). Meglio di loro e unico autore di una tripletta consecutiva fu Adolfo Consolini, padrone indiscusso del disco nelle tre edizioni disputatesi tra il ’46 e il ’54. Gli anni migliori, qualitativamente parlando, arrivarono in concomitanza con la partenza della “Freccia del Sud“.

A Helsinki nel 1971 un giovanissimo Pietro Mennea conquistò un bronzo nella 4×100 ma era solo il preludio per la doppietta 100-200 sfiorata a Roma nel 1974 e poi realizzata a Praga nel 1978. Quella degli anni ’70 era un’Italia protagonista in pista perché era competitiva dai 100 ai 10.000 e sui campi di gara sfornavamo icone come Sara Simeoni, oro e record mondiale a 2,01 nell’alto. Dagli anni ’80 in poi la nostra atletica ha perso la velocità, ma le gioie si sono trasferite sulla lunga distanza, la maratona. Due ori per Gelindo Bordin (’86 e ’90), due ori per Stefano Baldini (Budapest ’98 e Göteborg 2006) e poi Maria Guida e Anna Incerti tra le donne. Argenti e bronzi in quantità con il podio della maratona interamente tricolore nell’edizione del 2006 con Danilo Goffi e Vincenzo Modica a fare compagnia a Baldini.

Per trovare un altro podio rivestito d’azzurro occorre tornare ai campionati europei di Stoccarda 1986, i 10.000 di Cova, Mei e Antibo. Proprio il siciliano fu il simbolo dell’edizione di Spalato del 1990, la più prolifica in termini di ori (5) e medaglie (12) per l’Italia. Da brividi la doppietta di Totò Antibo che fece suoi 5000 e 10000 metri e grandissimo fu lo spunto finale di Francesco Panetta nei 3000 siepi. Sempre a Spalato ci accorgemmo di uno scricciolo di un metro e cinquanta che diventò il nostro gigante nella marcia femminile. I 10 km di Annarita Sidoti si tinsero d’oro anche 8 anni dopo a Budapest, con l’intermezzo di un argento a Helsinki. Alla mini campionessa di Gioiosa Marea va oggi l’incitamento più forte per una gara che “corre” da 4 anni contro un avversario tremendo. 

Tanti atleti avrebbero meritato di più: a Fabrizio Mori e Fiona May è mancato l’oro, altri invece si sono ritrovati al collo il metallo più prezioso senza che il suo luccichio riuscisse a illuminare le recenti ombre. Parlo di Alex Schwazer che, squalificato per doping fino al 2016 si è visto assegnare la vittoria nella 20 km del 2010 per una irregolarità nel passaporto biologico del russo Emel’janov. Potrei continuare all’infinito fra statistiche e aneddoti che s’inseguono nella storia dei campionati, ma è bello immaginare cosa succederà quando gli atleti di oggi s’inseguiranno in pista in una delle 47 gare in programma a Zurigo (25 discipline diverse).

Ai grandi protagonisti stranieri come lo sprinter francese Lamaitre, l’inglese Mo Farah o la saltatrice in alto Blanca Vlasic si affiancano pronostici e speranze per la nostra spedizione che riparte dall’oro di Fabrizio Donato di Helsinki nel salto triplo e l’argento di Daniele Meucci nei 10.000 metri. I due, con Meucci che fa la maratona, sono fra i possibili medagliati azzurri ai quali, sulla carta si aggiungono, Giorgio Rubino nella 20 Km di marcia, Andrea Lalli nella maratona e il siracusano Gibilisco che tenta un ultimo sussulto della carriera nel salto con l’asta. Libania Grenot nei 400,Valeria Straneo e Anna Incerti nella maratona, Eleonora Giorgi e Antonella Palmisano nella 20 km di marcia e la staffetta 4×400 femminile offrono forse più garanzie dei “colleghi” uomini e per questo si è parlato di una nazionale a “trazione femminile”.

L’esperienza ci insegna che i pronostici spesso vengono dimezzati e la sorpresa può sempre scapparci ma mi sorge spontanea un’osservazione nei confronti del movimento dell’atletica italiana. “La federazione italiana dell’atletica leggera (Fidal) è la regina dei contributi pubblici, seconda solo al nuoto. Nel 2013 ha incassato 9,2 milioni di euro. Fino all’anno scorso, oltre 2 milioni (un euro su quattro) servivano a pagare gli stipendi ai 71 dipendenti della federazione”. (da Il Fatto Quotidiano dell’8 agosto 2014, pagina 14). Nonostante ci sarà una inversione di tendenza la Fidal non “corre” per come dovrebbe o diciamo più francamente per come potrebbe. Fa una certa specie pensare all’ultimo medagliere continentale che ci ha relegati all’11° posto superati da paesi come la Norvegia, la Turchia, la Rep. Ceca e i Paesi Bassi. Per non parlare della Polonia che ancora ci tiene dietro nel medagliere assoluto dei campionati europei. I polacchi hanno 13 medaglie complessive e 3 ori più di noi. In queste sei giornate a cavallo di ferragosto, la regina degli sport ci rapirà con i suoi riti e la semplicità dei gesti atletici che, se coronati dall’oro diventano gesta da tramandare. Tiferemo e gioiremo per ogni azzurro sul podio, ma alla fine anche se dovessimo “sbancare” Zurigo, non è tutto oro quello che luccica.

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