I morti a causa dell’epidemia di Ebola, che ha colpito l’Africa occidentale, sono ormai saliti quasi a 1000. Secondo le ultime stime dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sono 961 i decessi e 1779 i casi di contagio, cifre che hanno spinto nei giorni scorsi l’Oms a dichiarare l’epidemia “Emergenza di salute pubblica di livello internazionale, la peggiore in almeno 40 anni”. Mentre si moltiplicano gli sforzi per mettere a punto un vaccino preventivo contro il virus già a partire dal 2015, gli esperti cercano intanto di ricostruire come l’epidemia abbia avuto inizio. Un modo per capire meglio come contenerne la diffusione in altri Paesi. 

Secondo quanto riporta il New York Times, il cosiddetto paziente zero, il primo a manifestare i sintomi, sarebbe un bimbo di 2 anni, originario del piccolo villaggio di Guéckédou, nella Guinea sudorientale, morto il 6 dicembre scorso, pochi giorni dopo aver contratto il virus. La particolare collocazione del villaggio, in una regione lungo il confine tra Liberia, Sierra Leone e la stessa Guinea, ha contribuito alla creazione di corridoi iniziali di trasmissione in questi tre Paesi. I primi ad ammalarsi e morire sarebbero stati i familiari del bimbo: la madre, la sorellina di tre anni e la nonna. Due partecipanti al funerale delle prime vittime avrebbero poi contribuito alla trasmissione del contagio ai loro rispettivi villaggi e da lì, attraverso i parenti stretti e alcuni operatori sanitari, ad altri centri. Quando il virus è stato isolato per la prima volta, a marzo, decine di persone erano già decedute in otto diverse comunità della Guinea, e i casi sospetti erano già in crescita negli altri due Paesi confinanti. Nel villaggio di Guéckédou “La sensazione predominante era di terrore – afferma Kalissa N’fansoumane, a capo del locale ospedale -. Ho dovuto persuadere gli impiegati a recarsi a lavoro”. 

Secondo gli epidemiologi dell’Oms, ci vorranno ancora molti mesi e, soprattutto, molte migliaia di operatori sanitari in più di quelli che attualmente operano nei Paesi africani, per riuscire a controllare l’epidemia. Uno dei rischi nell’immediato è l’impennata parallela di malaria, dissenteria e altre patologie, a causa della debolezza dei sistemi sanitari dei Paesi colpiti, le cui risorse, già carenti, sono in queste settimane drenate dal tentativo di far fronte all’epidemia di Ebola. Sono 145 al momento gli operatori sanitari infettati: più della metà di loro, 80, sono già morti.

Un’epidemia che questi Paesi dell’Africa occidentale conoscono per la prima volta e che, pertanto, sono impreparati a fronteggiare. Negli ospedali spesso scarseggia l’acqua corrente e persino le più elementari attrezzature per prevenire il contagio, come i guanti. Il risultato è che questi centri sanitari diventano essi stessi focolai d’infezione, alimentando le paure della popolazione e disincentivando ulteriori ricoveri. “Agli inizi dell’epidemia, 26 tra villaggi e piccole città si sono rifiutati di cooperare con le autorità sanitarie”, spiega Gregory Hartl, uno dei portavoce dell’Oms. 

La diffusione del contagio è avvenuta in tre successive ondate. Le prime due sono state relativamente piccole. La terza, invece, iniziata circa un mese fa, è stata molto più ampia. “Si è trattata si una chiamata d’appello generale”, commenta Hartl. Non è ancora chiaro, però, come il primo piccolo paziente si sia infettato. Gli esperti pensano che possa essersi contagiato attraverso i pipistrelli della frutta, noti per essere portatori del virus, forse cibandosi di frutti contaminati non cotti. Quel che è sicuro è che all’epidemia non è stata data subito la necessaria attenzione. “La risposta iniziale – sottolinea Thomas R. Frieden, direttore dei Centers for disease control and prevention (Cdc) Usa – è stata inadeguata, sia a livello locale che internazionale. Un paio di mesi fa era diffusa la falsa convinzione che l’epidemia fosse sotto controllo. Basta guardare quello che sta accadendo in questi giorni”.

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