Grazie al costante rimpallo tattico tra riforme costituzionali e legge elettorale Renzi si appresta a portare a casa in prima lettura nei tempi previsti il Senato dei nominati con tanto di immunità annessa e con l’unico risultato positivo, dal punto di vista della partecipazione democratica, che sia stato sventato l’innalzamento ad 800mile delle firme richieste per il referendum abrogativo.

Il pasticcio che gufi, malpancisti, detrattori a prescindere e da ultimo le “carogne d’élite” di Giuliano Ferrara hanno da subito, e senza eccelsi meriti evidenziato, sta per superare il primo giro di boa: allo stato attuale una Camera di non eletti con potere di legiferare anche su temi etici, di eleggere i membri non togati del Csm e il presidente della Repubblica, ma non titolati a dare la fiducia al governo. Il risultato, è inutile girarci attorno, Renzi l’avrebbe portato a casa comunque prima o poi, ma sta per incassarlo “prima” secondo i suoi più profondi desiderata, grazie ai “canguri” e “cangurini”, ma anche e soprattutto grazie all’abilità di avvincere Fi e di tenere a bagnomaria i piccoli partiti con la soglia di accesso sul fronte dell’Italicum.

L’effetto sul “ravvedimento” di Sel che aveva imboccato la via dell’ostruzionismo e dell’opposizione intransigente, grazie all'”apriti sesamo” della riduzione della soglia di sbarramento dal 4,5% al 4% per i partiti coalizzati, uno dei punti di “revisione” dell’Italicum su cui ci sarebbe il consenso di Berlusconi, sembra abbastanza evidente. Se dunque dall’ennesimo colloquio di ben tre ore con Berlusconi, guarda caso proprio alla vigilia o antivigilia del passaggio in prima lettura della riforma del Senato, Renzi non ha raccolto quanto si riprometteva sulle preferenze, ha ricavato tutti i riflessi positivi che voleva dalle “convergenze parallele pilotate” sulle riforme.

Non è un mistero che a Berlusconi della riforma del Senato interessi molto poco, mentre gli interessa alquanto l’Italicum e soprattutto la garanzia di avere un plotone fidatissimo alla Camera per giocare in primo luogo la partita dell’elezione del capo dello Stato e “la battuta” di Romano Prodi sulla “non notizia” del veto assoluto su di lui, rende bene l’idea.

Nelle ultime tre ore di colloquio che vanno a sommarsi alle molte precedenti di vis à vis pubblici e privati tra Renzi e Berlusconi il tema delle soglie, un moderato abbassamento per i partiti coalizzati e l’innalzamento dal 37% al 40% per il premio di maggioranza non sarebbero un problema, anche perché evidentemente l’ex Cavaliere non si sente minacciato dall’ipotesi che il suo rianimatore forte del risultato alle europee possa raggiungerlo; e cautelarsi sul fronte dei rilievi già espressi dalla Corte Costituzionale riguardo il Porcellum non è sconsigliabile.

Ma sulle preferenze Berlusconi sembra irremovibile e nemmeno la furbata di Renzi di garantirgli/garantirsi, con il restringimento dei collegi, ben 120 capolista nominati basta a rassicurarlo. Nemmeno aver archiviato in via definitiva le preferenze come regola generale e le primarie per legge è compatibile con il tasso di democrazia all’interno di Fi dove ogni giorno c’è la gara dei parlamentari-dipendenti a stigmatizzare “l’autoritarismo” di Grillo. Dunque “il passo felpato” sulle preferenze, un lusso democratico e una concessione di partecipazione al corpo elettorale decisamente eccessiva anche su un numero residuale di eletti, significa in altri termini che il tema è tabù e il rinvio ad un prossimo incontro dopo l’estate ne è una conferma.

Per ora Renzi potrà portare a casa il senato-scalpo che vuole esibire in Europa per ottenere non si sa bene cosa e con quale fondamento: presumibilmente in ordine cronologico il primo stratosferico risultato dovrebbe essere la Mogherini ad alto rappresentante europeo o magari, perché no, tanto per ribadire la vocazione al rinnovamento, Massimo D’Alema.  

Ma settembre è vicino, i dati economi sono, per usare un eufemismo, meno che incoraggianti e l’Italicum non si disincaglia mentre il patto di ferro con Berlusconi, per quanto gli italiani siano distratti o “sdariati”, rischia di essere di una pesantezza sempre meno sostenibile anche in termini elettorali.

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