Dopo il “martedì anticinese” di Barack Obama, i media di Pechino non fanno sconti. In un summit con i capi di Stato africani e senza fare nomi e cognomi, il presidente Usa ha specificato che gli Stati Uniti non guardano all’Africa “semplicemente per le sue risorse naturali, bensì per la sua più grande risorsa che è la sua gente, i suoi talenti, le sue potenzialità”. Messaggio neanche troppo in codice per definire l’espansione cinese nel continente. Il concetto si è fatto esplicito in un’intervista all’Economist, dove Obama dice che con la Cina “devi essere abbastanza fermo”, perché [i cinesi] “insistono più che possono finché non incontrano resistenza. Non sono sentimentali, e non sono interessati alle astrazioni. E così, i semplici appelli alle norme internazionali sono insufficienti”.

Le dichiarazioni, nel segno dell’“eccezionalismo” Usa che lo stesso Obama teorizza, sono di quelle ritagliate su misura per irritare i cinesi, ma le reazioni sono più sarcastiche che rabbiose. China News reagisce scrivendo che il presidente americano “sfoga il proprio disappunto per i rapporti Usa-Cina”, facendo affermazioni “emozionali” e prive di nuove prospettive. “Osserviamo che gli affari cinesi occupano un posto molto importante nella mente dell’attuale presidente degli Stati Uniti. Obama ha speso più tempo ed energia a trattare questioni cinesi di qualsiasi suo predecessore”, ricorda l’articolo. Facendo eco a un sentimento simile, il Global Times critica Obama perché “si aggrappa a una mentalità da guerra fredda obsoleta” che “non offre alcun contributo costruttivo ai rapporti Cina- Usa”.

È proprio quest’ultimo quotidiano, noto per la sua linea nazionalista e il linguaggio “pane al pane”, a rincarare la dose con un’analisi complessiva dell’amministrazione Obama piuttosto sminuente (o realistica, a seconda dei punti di vista). Quasi un epitaffio. La politica estera del presidente Obama ha dato speranza al mondo prima della sua entrata in carica nel 2009 – si legge – ma poi “è diventata più auto-contraddittoria”. Quanto alle dichiarazioni su Cina e Russia, si dice che “la diplomazia non sarà una parte della sua eredità di cui andare orgogliosi”. Se poi si parla di Medio Oriente, “non gli sarà data una medaglia per la situazione attuale”, definita esplicitamente “caos”.

L’obiettivo del presidente Usa, secondo l’editoriale, è quello di contenere la Cina. Così, nonostante i proclami di voler creare con Pechino un nuovo tipo di rapporto tra “maggiori potenze”, gli Usa non sembrano agire di conseguenza. Arriva poi la pacca sulla spalla di incoraggiamento, non si sa quanto convinta: “Obama potrebbe essere ricordato se nei prossimi due anni, prima che si concluda il suo mandato, determinerà passi avanti nei rapporti sino-statunitensi”.

L’editoriale del Global Times non viene ripreso da altri media ma ben rappresenta la disillusione – quasi disistima – dell’establishment cinese per l’attuale amministrazione Usa, soprattutto per quanto riguarda la politica estera. L’impressione è che Pechino abbia “mollato” Obama, attendendo semplicemente la fine del suo mandato. Lontani appaiono i tempi del summit statunitense con Xi Jinping, nel maggio 2013. Immediatamente dopo scoppiò lo scandalo Snowden e i rapporti si sono da allora gradualmente deteriorati. Dalle parti di Zhongnanhai – l’area dove risiedono i leader cinesi – si guarda già a Hillary Clinton. E si affilano le lame.

di Gabriele Battaglia

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