Se l’Italia del dopoguerra avesse un suo album dei ricordi, quelli fatti con le foto che si incollavano una per una e si sfogliavano tutti assieme in salotto, quell’album non sarebbe troppo diverso da Titanus – Cronaca familiare del cinema italiano, il volume dedicato alla major di casa nostra: nel buio della sala, prima dei titoli di testa, abbiamo visto apparire lo scudo simbolo di questa fabbrica dei sogni almeno quante volte abbiamo sentito ruggire il leone della Metro Goldwin Mayer.

Ed è davvero un album dei ricordi, solo che qui ci sono i ricordi, e i parenti, di tutti: i padri feriti nell’onore e le madri coraggio, gli zii d’America e quelli indegni, le provinciali grandi firme e i cugini vitelloni: tutte icone create dal grande schermo senza inventarsi nulla, ma prendendole e modellandole a immagine della società.

È nato prima Maurizio Arena o il bagnino a caccia di avventure sulle rive del Tevere? Prima Claudia Cardinale o la ragazza di belle speranze sedotta e abbandonata? Prima Alain Delon o l’operaio del Sud che emigra a Milano in cerca di fortuna? Sono nati assieme, e ognuno ha fatto diventare l’altro più vero.

Il libro curato da Sergio Germani, Simone Starace e Roberto Turigliatto, edito da Edizioni Sabinae e Centro Sperimentale di Cinematografia in collaborazione con il Festival del cinema di Locarno, ripercorre la storia del marchio fondato da Goffredo Lombardo che nasce all’inizio del secolo scorso come casa di distribuzione per aprirsi alla produzione e farla diventare la propria attività principale a partire dagli anni Trenta. Ma è nella sezione aurea del ventennio tra i Cinquanta e Sessanta che viene a fondarsi un vero e proprio marchio di fabbrica, lo “stile Titanus”, la cui ampia retrospettiva sarà uno dei fiori all’occhiello del Festival di Locarno che si inaugura mercoledì prossimo.

Ci si chiede spesso quale sia il senso dei Festival, nell’epoca di internet; bene, questa attenzione data da Locarno a un capitolo della storia del nostro cinema, la sua rilettura, il suo recupero (tra gli oltre 50 titoli che verranno proiettati non mancano le rarità) e la sua stessa identificazione sono un’eccellente risposta. Osservata dalla prospettiva del terzo millennio, l’epopea della Titanus racconta un momento magico, un incontro irripetibile tra l’industria del cinema e la società italiana.

L’Italia all’improvviso si scopre molto fotogenica, Roma e Napoli sono due set naturali, e gli italiani non sarebbero più mai stati così belli perché così poveri. Poveri ma belli di Dino Risi (1957) è davvero il titolo chiave, un film che si fece quasi da solo e si rivelò un sorprendente successo di pubblico perché era lo spirito dei tempi a volerlo. Insieme a un altro titolo simbolo come Pane amore e fantasia, è uno dei film che segnano il rovesciamento dalla poetica del melodramma strappalacrime che aveva tenuto banco fino ad allora.

L’autore di punta della Titanus fino agli anni Quaranta era stato Raffaello Matarazzo, con i suoi melò all’italiana per lo più affidati alla tenebrosissima coppia Amedeo Nazzari-Yvonne Sanson; alcuni, come Catene, proverbiali capolavori del genere. Non solo: un sentimentalismo vagamente melò era presente in forma strisciante anche in tante pellicole neorealiste. Ma il neorealismo aveva insegnato soprattutto un altro modo di vedere le cose: di vederle per quello che erano. E alla metà degli anni Cinquanta gli italiani non avevano più voglia di piangere, e – cosa assai più rara – non avevamo nemmeno voglia di fare finta di piangere.

Maurizio Arena e Renato Salvatori che si contendono i favori di Marisa Allasio sono un’epifania collettiva: la vocazione alla commedia sembra un richiamo della foresta, le eterne maschere dell’arte sono pronte a rinascere in forma di nuovi mostri, la situazione più si fa grave e meno si fa seria. È davvero l’inizio di una età dell’oro firmata da Dino Risi e Luigi Comencini ma anche da Mario Monicelli (Un eroe dei nostri tempi), Antonio Pietrangeli (Il sole negli occhi), Alberto Lattuada (La spiaggia), Francesco Rosi (I magliari), fino alla Cronaca familiare, a Un estate violenta e a La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini, l’autore con cui Lombardo stabilì il rapporto più stretto.

Lo “stile Titanus” è stato tutt’uno con il senso del cinema italiano per la commedia, ma coincise anche con una certa politica degli autori, una mano invisibile che ha investito nei talenti emergenti di quegli anni di grazia finché procedevano di pari passo con il racconto della società; non con le ossessioni personali o con cedimenti troppo aristocratici. Così dall’album dei ricordi saltano fuori il primo Visconti, quello di Rocco e i suoi fratelli, ma anche Le amiche del primo Antonioni, o ancora Il Bidone, dove il primo Fellini mostra quale grandi commedie avrebbe potuto girare, se avesse voluto farlo.

Oggi il valore di questi talenti e la loro simbiosi con un industria dalle uova d’oro, quale fu quella del nostro cinema fino agli anni Settanta, appaiono fin troppo scontati; ma vale la pena di ricordare che fino a trent’anni fa, per i cinefili duri e puri esisteva una cortina di ferro; da una parte gli autori veri, i poeti laureati da venerare; dall’altra gli artigiani da guardare con al massimo sufficienza. E se a distanza di tanti anni l’opera di alcuni venerati maestri appare sorprendentemente datata, in compenso ci accorgiamo che il racconto di come eravamo abita altrove. E oggi? Dagli anni Ottanta in poi niente sarà più come prima. Gli anni del cinema testimoniati dall’album dei ricordi Titanus verranno inesorabilmente scalzati dagli anni della televisione: un’Italia molto meno povera, ma infinitamente meno bella. Altre icone, altri sex symbol, altro immaginario, come ci ha magnificamente raccontato Reality di Matteo Garrone. Piaccia o no, negli ultimi trent’anni la cronaca familiare degli italiani l’ha scritta il video. Perfino Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson hanno dovuto cedere il passo a Gabriel Garko e Manuela Arcuri.

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